Silvio è stanco. Lo ha confessato lui stesso e non ha smentito il giornale che ha riportato la sua confessione. Qualcuno sostiene che doveva rimanere tutto segreto. Ma per favore. Se sei Berlusconi e ti trovi a una cena dove sono presenti alcuni giornalisti, e durante quella cena ti va di dire cose che potrebbero rovesciare i tavoli della CdL e del centrosinistra, è molto probabile che qualcosa – se non tutto – di quello che hai detto finirà in piazza. Quindi il Cavaliere ha voluto mandare un messaggio. A chi? A costo di essere tacciati di dietrologia, prima che all’esterno guarderemmo con più attenzione all’interno del partito.
Un partito che aveva bisogno come il pane di darsi una struttura democratica sul territorio ben prima delle dichiarazioni del suo fondatore. Ma che ora o si raddrizza la schiena con le sue forze oppure si liquefa. Papà Silvio, insomma, sta cercando di far crescere la sua creatura. Magari a suon di ceffoni, perché quando ce vò ce vò. Del resto le scelte da fare sono quelle decisive. L’idea dei circoli, come momento intermedio verso il partito unico, era e resta molto buona. Ma a condizione che Forza Italia sia solida. E per renderla solida è assolutamente necessario assegnare ai suoi iscritti il diritto di scegliersi chi comanda sul piano locale.
Se invece si viene folgorati sulla via dei circoli e contemporaneamente si lascia campo libero alle tante tribù che in questi anni di anarchia organizzativa sono nate e hanno figliato, vuol dire che nel partito unico porteremo i voti senza pesare un fico secco nella scelta della dirigenza, e dunque della linea politica. A noi questa prospettiva non piace. Continuiamo a ritenere quello incarnato in Forza Italia un patrimonio culturale di enorme importanza per il Paese intero. Che non va disperso. Le tribù, per noi, sono le correnti non inquadrate in un partito strutturato. Ogni leader, o presunto tale, si forma la sua catena di Sant’Antonio pensando poi di poter contare in un futuro neppure troppo lontano. Errore madornale scambiare il proprio orticello con gli interessi del partito. Sempre che sul partito ci si creda ancora, ovviamente. Questo è il rischio che vogliamo combattere: non dare per scontato che Forza Italia sia destinata a chiudere i battenti prima ancora che nasca il partito unico.
Ecco perché il rilancio della leva democratica, con l’annuncio dei congressi provinciali e comunali per la primavera prossima fatto da Bondi un paio di giorni fa, va nella direzione di irrobustire il partito, di ricondurre le tribù a correnti non impazzite e a far sì che Forza Italia si riappropri a livello locale di quella credibilità nel rapporto con le istituzioni, con le realtà associative, con la società civile che con l’era dei commissariamenti aveva perso. Non per responsabilità di questo o quel commissario, sia chiaro: è la figura in sé che non è adeguata. Anche recentemente, a chi scrive un alto dirigente di una associazione di imprenditori bolognese ha domandato: “Ma con chi dobbiamo parlare in Forza Italia per far sentire i nostri problemi? Dove siete?”. La democrazia interna non è solo un valore ideale; essa rappresenta uno strumento molto concreto per individuare le persone migliori cui affidare le sorti di una formazione politica.
25 novembre 2006
23 novembre 2006
L'omosessualità una malattia? Sfida ai bloggers liberali
I fatti sono noti: il sito Culturacattolica.it, al quale va la nostra incondizionata solidarietà, ha protestato contro la collocazione in prima serata della fiction Rai “Il padre delle spose”, con protagonista Lino Banfi, in quanto tale trasmissione promuove apertamente il cosiddetto “matrimonio omosessuale”.
Il sito cattolico non ha chiesto la censura, bensì soltanto lo spostamento del programma in seconda serata, per evitare che il pubblico dei bambini e dei preadolescenti potesse trarne indicazioni discutibili sul piano pedagogico.
La scelta di Culturacattolica.it è stata ripresa, capziosamente, da un articolo di Repubblica, nel quale si è chiaramente sostenuto che i cattolici invocavano l’oscuramento della trasmissione. Il risultato di questa distorta informazione (ma si può ben pensare che sarebbe successa la stessa cosa se la notizia fosse stata data correttamente) è stato un pesante attacco al predetto sito da parte di crackers informatici, che ne hanno provocato l’oscuramento.
I curatori di Culturacattolica.it hanno quindi aperto un blog sulla piattaforma del “Cannocchiale”, per denunciare l’accaduto e chiedere solidarietà. I commenti subito apparsi su quest’ultimo estemporaneo spazio di discussione sono stati di tutti i tipi, come era prevedibile, ma prevalentemente di aggressione e insulto nei confronti dei cattolici.
Fin qui nulla di strano, se non fosse che tra i commenti è apparso quello di tale Piero Marcelletti, che non ci è dato sapere se sia o meno un responsabile della redazione del Cannocchiale, il quale tuttavia ha testualmente scritto: “Vorrei ricordare ai responsabili di questo blog che le loro opinioni sono ospitate da una piattaforma, quella de “Il Cannocchiale”, che ha una precisa policy per quanto riguarda tutto ciò che viene pubblicato in ogni singolo blog da essa ospitato. Questa policy vieta espressamente la pubblicazione di contenuti razzistici, discriminatori e sessisti.
E’ già successo che diversi blog ospitati da "Il Cannocchiale" siano stati chiusi dai responsabili della policy proprio perchè talvolta alcuni di questi blog hanno diffuso opinioni indiscutibilmente discriminatorie, proprio come quella che pretenderebbe di considerare l'omosessualità alla stregua di una malattia. Vi invito pertanto ad occuparVi di argomenti che abbiano a che fare con la fede, non spetta a Voi fare diagnosi di malattia.
Altrimenti, sarebbe necessaria una legittima segnalazione di “abuse” alla casella e-mail appositamente predisposta, per far chiudere questo blog.”
Bene.
Dunque, laddove ci venisse confermato che il signor Marcelletti ha l’autorità di rappresentare la piattaforma del Cannocchiale, ne dovremmo desumere che per quest’ultima la libertà di opinione si estende fino al punto di poter impunemente insultare i cattolici, il Papa, la religione, ecc. ecc., ma non ammette – sotto pena di chiusura del blog – nemmeno da parte del pubblico dei commentatori l’opinione secondo la quale l’omosessualità sarebbe una malattia.
Noi del Filo a Piombo quindi vogliamo in questa sede affermare che, non essendo mai stata provata la matrice genetica dell’omosessualità, riteniamo che l’orientamento eterosessuale dipenda dalla natura e dalla fisiologia umana, e non sia esclusivamente una questione di scelte personali.
Pertanto siamo convinti – assieme ad altri più autorevoli studiosi – che l’istinto omosessuale derivi da una deviazione dello sviluppo psichico della personalità, che si può manifestare in diversi momenti della vita per cause non tipizzate, ma comunque scientificamente indagabili.
Questa convinzione comporta che non consideriamo l’omosessualità come una condizione “normale”, nel senso che a questa parola viene comunemente dato dalla comunità scientifica. Poi si dovrebbero fare alcune precisazioni sulla differenza che passa tra l’anormalità di una condizione soggettiva e la “malattia”, per come quest’ultima viene definita in medicina, ma si tratterebbe di distinzioni troppo raffinate per il livello culturale dimostrato dai personaggi con i quali, nostro malgrado, abbiamo a che fare.
Ciò premesso, per tornare nell’ambito del dibattito culturale e politico, noi chiediamo a tutti i bloggers – particolarmente quelli che si professano liberali e addirittura radicali – di venire a dimostrare, anche con una semplice attestazione di solidarietà non tanto verso di noi quanto del sito Culturacattolica.it, che pur non condividendo la nostra idea sarebbero disposti a dare qualcosa per il nostro diritto di esprimerla, a parità di condizioni con gli altri cittadini della rete.
Non è necessario che si proclamino voltairianamente disposti a dare la vita per questo, anche perché consideriamo apocrifa e comunque sommamente ipocrita la famosissima frase. Specie in quanto la stessa viene di solito attribuita a un intellettuale che teorizzava apertamente la diffamazione, l’intimidazione e la calunnia verso gli avversari come strumenti legittimi di confronto (cfr. la lettera di Voltaire su alcuni enciclopedisti, citata da Pierre Gaxotte, Accademico di Francia, nel suo “la Rivoluzione Francese”: “Dobbiamo screditarli; dobbiamo abilmente infangare la loro condotta, trascinarli davanti al pubblico come persone viziose; dobbiamo presentare le loro azioni sotto una luce odiosa … Se ci mancano i fatti, dobbiamo farne supporre l’esistenza fingendo di tacere parte delle loro colpe. Tutto è permesso contro di essi … Deferiamoli al governo come nemici della religione e dell’autorità; incitiamo i magistrati a punirli”).
Noi invece chiediamo solo pura e semplice solidarietà senza se e senza ma per il sito Culturacattolica.it, nonostante la forte diversità di opinione.
Altrimenti, segnaliamo fin d’ora la nostra ulteriore opinione di cattolici liberali, secondo la quale chi si rifiutasse per ragioni di principio (sia pure dichiarandosi liberale e libertario), in realtà sia soltanto un piccolo maleducato ignorante vigliacco untorello, moralmente più simile a un teppista comunistoide che non a una persona civile e decentemente acculturata, con la quale si possa discutere di argomenti seri. Punto.
Il sito cattolico non ha chiesto la censura, bensì soltanto lo spostamento del programma in seconda serata, per evitare che il pubblico dei bambini e dei preadolescenti potesse trarne indicazioni discutibili sul piano pedagogico.
La scelta di Culturacattolica.it è stata ripresa, capziosamente, da un articolo di Repubblica, nel quale si è chiaramente sostenuto che i cattolici invocavano l’oscuramento della trasmissione. Il risultato di questa distorta informazione (ma si può ben pensare che sarebbe successa la stessa cosa se la notizia fosse stata data correttamente) è stato un pesante attacco al predetto sito da parte di crackers informatici, che ne hanno provocato l’oscuramento.
I curatori di Culturacattolica.it hanno quindi aperto un blog sulla piattaforma del “Cannocchiale”, per denunciare l’accaduto e chiedere solidarietà. I commenti subito apparsi su quest’ultimo estemporaneo spazio di discussione sono stati di tutti i tipi, come era prevedibile, ma prevalentemente di aggressione e insulto nei confronti dei cattolici.
Fin qui nulla di strano, se non fosse che tra i commenti è apparso quello di tale Piero Marcelletti, che non ci è dato sapere se sia o meno un responsabile della redazione del Cannocchiale, il quale tuttavia ha testualmente scritto: “Vorrei ricordare ai responsabili di questo blog che le loro opinioni sono ospitate da una piattaforma, quella de “Il Cannocchiale”, che ha una precisa policy per quanto riguarda tutto ciò che viene pubblicato in ogni singolo blog da essa ospitato. Questa policy vieta espressamente la pubblicazione di contenuti razzistici, discriminatori e sessisti.
E’ già successo che diversi blog ospitati da "Il Cannocchiale" siano stati chiusi dai responsabili della policy proprio perchè talvolta alcuni di questi blog hanno diffuso opinioni indiscutibilmente discriminatorie, proprio come quella che pretenderebbe di considerare l'omosessualità alla stregua di una malattia. Vi invito pertanto ad occuparVi di argomenti che abbiano a che fare con la fede, non spetta a Voi fare diagnosi di malattia.
Altrimenti, sarebbe necessaria una legittima segnalazione di “abuse” alla casella e-mail appositamente predisposta, per far chiudere questo blog.”
Bene.
Dunque, laddove ci venisse confermato che il signor Marcelletti ha l’autorità di rappresentare la piattaforma del Cannocchiale, ne dovremmo desumere che per quest’ultima la libertà di opinione si estende fino al punto di poter impunemente insultare i cattolici, il Papa, la religione, ecc. ecc., ma non ammette – sotto pena di chiusura del blog – nemmeno da parte del pubblico dei commentatori l’opinione secondo la quale l’omosessualità sarebbe una malattia.
Noi del Filo a Piombo quindi vogliamo in questa sede affermare che, non essendo mai stata provata la matrice genetica dell’omosessualità, riteniamo che l’orientamento eterosessuale dipenda dalla natura e dalla fisiologia umana, e non sia esclusivamente una questione di scelte personali.
Pertanto siamo convinti – assieme ad altri più autorevoli studiosi – che l’istinto omosessuale derivi da una deviazione dello sviluppo psichico della personalità, che si può manifestare in diversi momenti della vita per cause non tipizzate, ma comunque scientificamente indagabili.
Questa convinzione comporta che non consideriamo l’omosessualità come una condizione “normale”, nel senso che a questa parola viene comunemente dato dalla comunità scientifica. Poi si dovrebbero fare alcune precisazioni sulla differenza che passa tra l’anormalità di una condizione soggettiva e la “malattia”, per come quest’ultima viene definita in medicina, ma si tratterebbe di distinzioni troppo raffinate per il livello culturale dimostrato dai personaggi con i quali, nostro malgrado, abbiamo a che fare.
Ciò premesso, per tornare nell’ambito del dibattito culturale e politico, noi chiediamo a tutti i bloggers – particolarmente quelli che si professano liberali e addirittura radicali – di venire a dimostrare, anche con una semplice attestazione di solidarietà non tanto verso di noi quanto del sito Culturacattolica.it, che pur non condividendo la nostra idea sarebbero disposti a dare qualcosa per il nostro diritto di esprimerla, a parità di condizioni con gli altri cittadini della rete.
Non è necessario che si proclamino voltairianamente disposti a dare la vita per questo, anche perché consideriamo apocrifa e comunque sommamente ipocrita la famosissima frase. Specie in quanto la stessa viene di solito attribuita a un intellettuale che teorizzava apertamente la diffamazione, l’intimidazione e la calunnia verso gli avversari come strumenti legittimi di confronto (cfr. la lettera di Voltaire su alcuni enciclopedisti, citata da Pierre Gaxotte, Accademico di Francia, nel suo “la Rivoluzione Francese”: “Dobbiamo screditarli; dobbiamo abilmente infangare la loro condotta, trascinarli davanti al pubblico come persone viziose; dobbiamo presentare le loro azioni sotto una luce odiosa … Se ci mancano i fatti, dobbiamo farne supporre l’esistenza fingendo di tacere parte delle loro colpe. Tutto è permesso contro di essi … Deferiamoli al governo come nemici della religione e dell’autorità; incitiamo i magistrati a punirli”).
Noi invece chiediamo solo pura e semplice solidarietà senza se e senza ma per il sito Culturacattolica.it, nonostante la forte diversità di opinione.
Altrimenti, segnaliamo fin d’ora la nostra ulteriore opinione di cattolici liberali, secondo la quale chi si rifiutasse per ragioni di principio (sia pure dichiarandosi liberale e libertario), in realtà sia soltanto un piccolo maleducato ignorante vigliacco untorello, moralmente più simile a un teppista comunistoide che non a una persona civile e decentemente acculturata, con la quale si possa discutere di argomenti seri. Punto.
20 novembre 2006
Modeste proposte per i Circoli della Libertà
Il Filo a Piombo guarda con favore al progetto dei Circoli della Libertà, che si sta sviluppando in queste settimane. Cercheremo di dare il nostro contributo all’iniziativa, anche fuori dalla blogosfera, così come avremmo fatto per ogni altro progetto credibile, al fine di rilanciare un centrodestra liberale e popolare.
Nel nostro piccolo potremo renderci utili, in quanto – pur non sapendo fino a che punto il nostro Filo potrà dipanarsi, sulla rete e nella vita reale – rimaniamo convinti che il materiale di cui esso è composto, in termini di cultura politica, sia il più adatto per tessere una tela resistente e destinata a durare nel tempo.
Tuttavia, già nell’impostazione che è stata data al progetto dei Circoli scorgiamo alcune grandi difficoltà. Intanto, secondo i promotori, lo spirito dell’iniziativa del senatore Dell’Utri dovrebbe essere innanzitutto culturale. I Circoli della Libertà dovrebbero nascere come luoghi di approfondimento e di elaborazione del pensiero, prima ancora che di partecipazione politica.
Ma se questo è vero, su quali basi culturali e con quale identità questi Circoli si stanno costituendo?
Sappiamo tutti che Forza Italia è nata in modo pragmatico, seguendo un generico richiamo al moderatismo liberale, senza vincolarsi – nemmeno nel nome – ad alcuna tradizione politica ben definita. Tanto che, quando nel 1993-1994 sono nati i primi clubs azzurri, assieme a tanta improvvisazione e scarsa cultura politica, in essi si poteva ritrovare un po’ di tutto. Sia rispetto ai grandi temi, che nelle opinioni più spicciole dei militanti.
Del resto, la situazione lo imponeva, e non ci scandalizziamo affatto per quella confusione della quale noi del Filo ci ricordiamo bene, visto che alcuni di noi hanno partecipato in prima persona alla nascita del movimento.
Ma ora, nonostante la perdurante logica del bipolarismo, e nonostante i successi ai quali ha portato lo spirito pragmatico di Berlusconi, crediamo che si debbano sciogliere alcuni nodi ideali, e definire a priori con più precisione l’identità possibile del liberal-conservatorismo italiano.
La progressiva decadenza della cultura occidentale ha importato nella nostra società problemi che nei primi anni novanta, al massimo, erano appena abbozzati. Oggi stanno giungendo a maturazione questioni epocali, come la crisi demografica, la dissoluzione dell’istituto familiare e degli altri riferimenti “forti” della società civile, la messa in discussione delle radici cristiane dell’Europa, l’aggressività dell’Islam.
Sta quindi diventando indifferibile un nuovo progetto educativo per le giovani generazioni, che coinvolga non solo le istituzioni politiche, ma soprattutto la famiglia, la scuola, i movimenti religiosi, le libere associazioni. Dall’altro lato, sul piano più strettamente economico, presto diventerà drammatica la questione dell’insostenibilità dello Stato sociale, così come lo abbiamo conosciuto fino ad ora.
Si tratta di temi che – a differenza di quel che accadeva negli anni in cui è nato il Polo delle Libertà – oggi stanno invadendo la sfera quotidiana di tutti i cittadini. Per questo si impongono grandi scelte di campo che non possono più essere eluse, rinviate o accantonate, in favore dell’ottimistica ricerca di ciò che ci unisce, al solo scopo di vincere le prossime elezioni.
In questo senso, come sappiamo, la modesta proposta del Filo a Piombo è fortemente identitaria, e cerca una composizione tra le tradizioni liberale, cattolica e conservatrice. Speriamo dunque che nel nascente movimento dei Circoli della Libertà ci sia sufficiente chiarezza e coesione sui suddetti argomenti.
Non vogliamo doverci ritrovare bloccati a discutere per ore di laicità dello Stato, o del vero significato dell’essere liberali o dell’essere moderati. Ciò in quanto le linee di fondo della nostra ispirazione dovrebbero essere già definite.
Specie in una regione come la nostra, l’Emilia-Romagna, dove è collaudato da decenni un blocco sociale ed economico che fa riferimento allo Stato, al partito, al sindacato e alle cooperative, la nostra alternativa dovrà invece rivolgersi alle famiglie, alla libera impresa, all’associazionismo civico, alle categorie dei lavoratori autonomi e dei professonisti, e non per ultima alla Chiesa di Benedetto XVI e dei movimenti cattolici meno compromessi con lo spirito “conciliare”.
Inoltre, su un piano più operativo, quello che chiediamo ai promotori della iniziativa è di non frammentare né disperdere le energie di centrodestra già presenti sul territorio.
Ci sembra evidente che sarebbe impossibile ripetere nelle stesse modalità, tredici anni dopo, l’epopea che ha portato alla nascita dei clubs di Forza Italia e dei circoli di Alleanza Nazionale. Noi di questo Filo eravamo attivi in politica, in quei tumultuosi mesi, ed è proprio il ricordo di quella esperienza che ci fa ritenere assai rischiosa e un po’ velleitaria l’idea di fare rinascere “dal basso” il centrodestra.
E’ vero che oggi si vede chiaramente quanto poco sia rimasto – dal punto di vista dell’organizzazione, del personale politico e della presenza sul territorio – dello spirito di partecipazione popolare che animò la nascita del Polo delle Libertà, nei primi anni novanta. Ma non per questo crediamo che sia possibile fare tabula rasa e ripartire da zero, affidandosi solo all’entusiasmo di nuovi volontari, così come allo sconcerto e alla rabbia degli elettori, che stanno di nuovo facendo soffiare il vento alle spalle dell’opposizione.
L’eccessivo spontaneismo, difatti, a nostro parere finirebbe per riproporre la situazione che già si era creata subito dopo il venire meno del primo governo Berlusconi, quando i primi clubs e circoli di Forza Italia e Alleanza Nazionale, che avevano accompagnato l’ascesa dei rispettivi leaders, svanirono rapidamente nel nulla, lasciando sul territorio solo la presenza di politici semiprofessionisti con già diversi anni di esperienza alle spalle, oltre a qualche più o meno valido outsider.
Per questo, anche se riconosciamo che i Circoli della Libertà siano un’ottima occasione di formazione e crescita, specie per i più giovani, non possiamo illuderci del fatto che essi diventino sezioni di reclutamento di una classe politica totalmente nuova.
Persino in una regione difficile come l’Emilia-Romagna, dove il centrodestra ha poco radicamento e non vanta una tradizione di amministratori locali, in questi anni si sono comunque formate personalità politiche che in un modo o nell’altro hanno maturato un minimo di esperienza e di appeal elettorale.
Esiste un certo numero di consiglieri regionali, provinciali, comunali, e di dirigenti locali di partito, le energie dei quali non vorremmo vedere disperse, e tantomeno le une contro le altre armate.
Dunque, a nostro parere il partito di Forza Italia, così come la Lega Nord e i settori di Alleanza Nazionale e dell’Udc meno compromessi con le politiche stataliste ed assistenziali, dovrebbero essere coinvolti nel progetto in maniera organica.
Per legittimare i nuovi Circoli delle Libertà non ci si può affidare solo al mandato – vero o presunto – di Berlusconi e di altri dirigenti nazionali. Occorre invece individuare dove e come il centrodestra di questi ultimi tredici anni abbia messo radici nel tessuto sociale del nostro Paese.
A tale scopo, occorre che il nascente movimento dei Circoli si dotato di guide attente ed autorevoli, riconosciute come tali da tutto il centrodestra, che conoscano le diverse realtà del nostro Paese e sappiano individuare su ogni territorio le presenze e le energie più adatte.
Non è una frase fatta: se i promotori dei Circoli della Libertà cederanno alla tentazione di porsi come la “corrente del rinnovamento”, nell’ambito di Forza Italia e più in generale dello schieramento conservatore, essi finiranno per dare vita solamente ad una corrente di partito in più.
Poiché non siamo di quelli che credono alla “democrazia interna” nei partiti, specialmente in questa fase e tantomeno rispetto a un movimento poco strutturato come Forza Italia, speriamo che chi ha la possibilità di decidere sia veramente consapevole di quanto sopra.
Nel nostro piccolo potremo renderci utili, in quanto – pur non sapendo fino a che punto il nostro Filo potrà dipanarsi, sulla rete e nella vita reale – rimaniamo convinti che il materiale di cui esso è composto, in termini di cultura politica, sia il più adatto per tessere una tela resistente e destinata a durare nel tempo.
Tuttavia, già nell’impostazione che è stata data al progetto dei Circoli scorgiamo alcune grandi difficoltà. Intanto, secondo i promotori, lo spirito dell’iniziativa del senatore Dell’Utri dovrebbe essere innanzitutto culturale. I Circoli della Libertà dovrebbero nascere come luoghi di approfondimento e di elaborazione del pensiero, prima ancora che di partecipazione politica.
Ma se questo è vero, su quali basi culturali e con quale identità questi Circoli si stanno costituendo?
Sappiamo tutti che Forza Italia è nata in modo pragmatico, seguendo un generico richiamo al moderatismo liberale, senza vincolarsi – nemmeno nel nome – ad alcuna tradizione politica ben definita. Tanto che, quando nel 1993-1994 sono nati i primi clubs azzurri, assieme a tanta improvvisazione e scarsa cultura politica, in essi si poteva ritrovare un po’ di tutto. Sia rispetto ai grandi temi, che nelle opinioni più spicciole dei militanti.
Del resto, la situazione lo imponeva, e non ci scandalizziamo affatto per quella confusione della quale noi del Filo ci ricordiamo bene, visto che alcuni di noi hanno partecipato in prima persona alla nascita del movimento.
Ma ora, nonostante la perdurante logica del bipolarismo, e nonostante i successi ai quali ha portato lo spirito pragmatico di Berlusconi, crediamo che si debbano sciogliere alcuni nodi ideali, e definire a priori con più precisione l’identità possibile del liberal-conservatorismo italiano.
La progressiva decadenza della cultura occidentale ha importato nella nostra società problemi che nei primi anni novanta, al massimo, erano appena abbozzati. Oggi stanno giungendo a maturazione questioni epocali, come la crisi demografica, la dissoluzione dell’istituto familiare e degli altri riferimenti “forti” della società civile, la messa in discussione delle radici cristiane dell’Europa, l’aggressività dell’Islam.
Sta quindi diventando indifferibile un nuovo progetto educativo per le giovani generazioni, che coinvolga non solo le istituzioni politiche, ma soprattutto la famiglia, la scuola, i movimenti religiosi, le libere associazioni. Dall’altro lato, sul piano più strettamente economico, presto diventerà drammatica la questione dell’insostenibilità dello Stato sociale, così come lo abbiamo conosciuto fino ad ora.
Si tratta di temi che – a differenza di quel che accadeva negli anni in cui è nato il Polo delle Libertà – oggi stanno invadendo la sfera quotidiana di tutti i cittadini. Per questo si impongono grandi scelte di campo che non possono più essere eluse, rinviate o accantonate, in favore dell’ottimistica ricerca di ciò che ci unisce, al solo scopo di vincere le prossime elezioni.
In questo senso, come sappiamo, la modesta proposta del Filo a Piombo è fortemente identitaria, e cerca una composizione tra le tradizioni liberale, cattolica e conservatrice. Speriamo dunque che nel nascente movimento dei Circoli della Libertà ci sia sufficiente chiarezza e coesione sui suddetti argomenti.
Non vogliamo doverci ritrovare bloccati a discutere per ore di laicità dello Stato, o del vero significato dell’essere liberali o dell’essere moderati. Ciò in quanto le linee di fondo della nostra ispirazione dovrebbero essere già definite.
Specie in una regione come la nostra, l’Emilia-Romagna, dove è collaudato da decenni un blocco sociale ed economico che fa riferimento allo Stato, al partito, al sindacato e alle cooperative, la nostra alternativa dovrà invece rivolgersi alle famiglie, alla libera impresa, all’associazionismo civico, alle categorie dei lavoratori autonomi e dei professonisti, e non per ultima alla Chiesa di Benedetto XVI e dei movimenti cattolici meno compromessi con lo spirito “conciliare”.
Inoltre, su un piano più operativo, quello che chiediamo ai promotori della iniziativa è di non frammentare né disperdere le energie di centrodestra già presenti sul territorio.
Ci sembra evidente che sarebbe impossibile ripetere nelle stesse modalità, tredici anni dopo, l’epopea che ha portato alla nascita dei clubs di Forza Italia e dei circoli di Alleanza Nazionale. Noi di questo Filo eravamo attivi in politica, in quei tumultuosi mesi, ed è proprio il ricordo di quella esperienza che ci fa ritenere assai rischiosa e un po’ velleitaria l’idea di fare rinascere “dal basso” il centrodestra.
E’ vero che oggi si vede chiaramente quanto poco sia rimasto – dal punto di vista dell’organizzazione, del personale politico e della presenza sul territorio – dello spirito di partecipazione popolare che animò la nascita del Polo delle Libertà, nei primi anni novanta. Ma non per questo crediamo che sia possibile fare tabula rasa e ripartire da zero, affidandosi solo all’entusiasmo di nuovi volontari, così come allo sconcerto e alla rabbia degli elettori, che stanno di nuovo facendo soffiare il vento alle spalle dell’opposizione.
L’eccessivo spontaneismo, difatti, a nostro parere finirebbe per riproporre la situazione che già si era creata subito dopo il venire meno del primo governo Berlusconi, quando i primi clubs e circoli di Forza Italia e Alleanza Nazionale, che avevano accompagnato l’ascesa dei rispettivi leaders, svanirono rapidamente nel nulla, lasciando sul territorio solo la presenza di politici semiprofessionisti con già diversi anni di esperienza alle spalle, oltre a qualche più o meno valido outsider.
Per questo, anche se riconosciamo che i Circoli della Libertà siano un’ottima occasione di formazione e crescita, specie per i più giovani, non possiamo illuderci del fatto che essi diventino sezioni di reclutamento di una classe politica totalmente nuova.
Persino in una regione difficile come l’Emilia-Romagna, dove il centrodestra ha poco radicamento e non vanta una tradizione di amministratori locali, in questi anni si sono comunque formate personalità politiche che in un modo o nell’altro hanno maturato un minimo di esperienza e di appeal elettorale.
Esiste un certo numero di consiglieri regionali, provinciali, comunali, e di dirigenti locali di partito, le energie dei quali non vorremmo vedere disperse, e tantomeno le une contro le altre armate.
Dunque, a nostro parere il partito di Forza Italia, così come la Lega Nord e i settori di Alleanza Nazionale e dell’Udc meno compromessi con le politiche stataliste ed assistenziali, dovrebbero essere coinvolti nel progetto in maniera organica.
Per legittimare i nuovi Circoli delle Libertà non ci si può affidare solo al mandato – vero o presunto – di Berlusconi e di altri dirigenti nazionali. Occorre invece individuare dove e come il centrodestra di questi ultimi tredici anni abbia messo radici nel tessuto sociale del nostro Paese.
A tale scopo, occorre che il nascente movimento dei Circoli si dotato di guide attente ed autorevoli, riconosciute come tali da tutto il centrodestra, che conoscano le diverse realtà del nostro Paese e sappiano individuare su ogni territorio le presenze e le energie più adatte.
Non è una frase fatta: se i promotori dei Circoli della Libertà cederanno alla tentazione di porsi come la “corrente del rinnovamento”, nell’ambito di Forza Italia e più in generale dello schieramento conservatore, essi finiranno per dare vita solamente ad una corrente di partito in più.
Poiché non siamo di quelli che credono alla “democrazia interna” nei partiti, specialmente in questa fase e tantomeno rispetto a un movimento poco strutturato come Forza Italia, speriamo che chi ha la possibilità di decidere sia veramente consapevole di quanto sopra.
15 novembre 2006
Solo la ripresa demografica salverà l'Europa
La forte diminuzione delle nascite nelle popolazioni europee, e in primis negli italiani, negli ultimi decenni, è conseguenza dell'abbandono della pratica religiosa in nome di ideali edonistici e dei dettami del relativismo etico. Ciò spalanca inevitabilmente le porte all'immigrazione, soprattutto islamica. Solo nella riscoperta dei valori tradizionali cristiani e familiari vi potrà essere salvezza per i nostri figli.
CROLLO DEMOGRAFICO E RITORNO ALLA FEDE. NE VA DEL NOSTRO FUTURO
Da alcuni decenni gli abitanti dell’Europa stanno sperimentando una situazione paradossale: vivono più a lungo ma mettono al mondo meno figli. Inevitabilmente, quando le folte generazioni del baby-boom nate tra il 1950 e il 1964 usciranno dal mondo del lavoro per andare in pensione, trascineranno il vecchio continente in uno stato d’emergenza. Per la prima volta nella storia, infatti, le classi non più in età produttiva e riproduttiva costituiranno la grande maggioranza della società.
L’Europa verrà investita da una “tempesta perfetta”, perché contemporaneamente verranno al pettine tutti i nodi delle attuali tendenze negative: il calo e l’invecchiamento della popolazione, la riduzione della forza lavoro, l’esplosione delle spese degli stati assistenziali, e la presenza maggioritaria di popolazioni musulmane in molte aree del vecchio continente, per effetto della loro massiccia immigrazione e alta fertilità. Secondo alcuni autorevoli osservatori (come Niall Ferguson, Bernard Lewis, Mark Steyn, Bat Ye’or, George Weigel) la civiltà europea potrebbe non superare questa crisi, e venire assorbita dalla civiltà islamica prima della fine del secolo.
Cause del regresso demografico
Per avere un’idea del crollo della natalità che si è verificato nell’ultimo quarto di secolo, basti pensare che in Italia nel decennio 1950-1959 nacquero 8.824.000 bambini; nel successivo decennio del boom economico, dal 1960 al 1969, ne nacquero ben 9.679.000; negli anni Settanta le nascite calarono a 8.304.000, e poi avvenne il crollo: nel decennio 1980-1989 le nascite furono 5.987.000, e nel 1990-1999 solo 5.367.000; se negli anni Sessanta il saldo fra nascite e morti era stato positivo per 4.653.000 unità, negli anni Novanta c’è stato un saldo negativo per 177.000 unità, e tendenze analoghe si sono verificate un po’ in tutto il continente.
Una debacle demografica di simili proporzioni si può spiegare solo con una profonda demoralizzazione morale e spirituale, il cui sintomo più evidente è il declino delle pratiche e delle credenze religiose. Un numero crescente di studi, infatti, conferma che ovunque la mappa dell’infertilità coincide con quella della secolarizzazione.
Da quando hanno perso la fede religiosa per abbracciare un’etica materialistica, gli europei hanno iniziato ad accettare l’aborto, il controllo delle nascite, i matrimoni gay e la promiscuità sessuale, e smesso di andare in chiesa, di prendere la Bibbia sul serio, di credere nel futuro e di avere figli.
La secolarizzazione, infatti, favorisce negli individui un atteggiamento edonistico di corto respiro, programmato sul breve arco della vita terrena, mentre la fede religiose spinge le persone a progettare la propria esistenza secondo un orizzonte temporale più lungo.
Gli europei dei secoli passati avevano gli occhi rivolti all’eternità e al futuro della Cristianità, e si impegnavano in progetti, come la costruzione delle cattedrali, che potevano durare secoli. La cattedrale di Colonia, ad esempio, ha richiesto più di trecento anni di lavoro per essere edificata, e coloro che la iniziarono sapevano bene che non l’avrebbero mai vista completata.
Nel breve orizzonte temporale preso in considerazione dall’europeo irreligioso contemporaneo, invece, rimane poco posto per i figli, che impongono responsabilità, costi e sacrifici immediati in cambio di pochi benefici futuri, dato che all’assistenza durante gli anni della vecchiaia provvedono gli apparati pensionistici e sanitari dello Stato sociale.
Proprio il welfare state, destinato alla bancarotta a causa dei suoi colossali deficit, incarna più di ogni altra istituzione il breve orizzonte temporale dell’utopia secolare socialdemocratica, in cui si consumano senza ritegno le risorse presenti mettendo tutto in conto alle generazioni future, se vi saranno.
Il relativismo, porta aperta per l'islam
La secolarizzazione produce anche un secondo effetto negativo, generando società troppo permissive e senza fibra morale, incapaci di resistere agli attacchi delle culture agguerrite provenienti dall’esterno. Nelle società irreligiose non esistono più standard fissi di moralità, si oscura la differenza tra il bene e il male, e tutto diventa relativo.
È questo il motivo per cui nell’attuale Europa è diventato impossibile criticare l’islam, anche di fronte alle sue manifestazioni più eclatanti di prepotenza e di violenza. Il relativismo culturale ha infatti educato gli europei all’idea che la propria cultura non abbia nulla di particolare che meriti di essere protetto, mentre il multiculturalismo impone di tollerare anche coloro che non ti tollerano e che desiderano distruggerti.
È probabile infatti che l’islamizzazione dell’Europa, invece di condurre all’utopia multiculturalista, produca una totale metamorfosi politica e culturale del vecchio continente, come sempre è accaduto in passato alle terre assoggettate dall’islam.
Se gli islamici dovessero prendere il sopravvento, le grandi realizzazioni della cultura europea generata dal Cristianesimo rischiano di diventare un lontano ricordo, e fra meno di cento anni l’Europa di San Benedetto e San Francesco, di San Tommaso e Dante, di Cervantes e Shakespeare, di Leonardo e Michelangelo, di Tiziano e Rembrandt, di Copernico e Newton, di Bach e Mozart, di Fleming e Pasteur, di Goethe e Hugo, di Dostoevskij e Tolstoj, di Solgenitsin e Wojtyla potrebbe esistere solo sui libri di storia e nei musei. Oppure, peggio ancora, le vestigia dell’Europa cristiana potrebbero subire la sorte delle statue dei grandi Budda dell’Afghanistan, demolite dai talebani.
L’Europa rischia di perdere il suo patrimonio spirituale più importante, e di precipitare nel dispotismo, nella stagnazione intellettuale e nell’arretratezza economica che caratterizza le terre dell’islam.
Noi europei di oggi siamo i fortunati eredi della civiltà che ha prodotto la quasi totalità delle più grandi creazioni intellettuali della storia umana, come ha dimostrato il sociologo Charles Murray nel libro Human Accomplishment (Harper Collins, 2003). È necessario però che la religione che ha originato questa civiltà unica sia vivificata, perché la scienza, la filosofia, l’arte e la libertà che tanto apprezziamo, se private dei loro fondamenti culturali originari, sono destinate ad evaporare.
Per affrontare questa sfida cruciale il secolarismo è uno degli ostacoli maggiori, perché incoraggia la denatalità, la mancanza di fiducia, i dubbi e l’apatia. Il multiculturalismo e l’egualitarismo devono essere screditati se l’Europa vuole sopravvivere, perché fino a quando l’ideologia dominante imporrà l’idea che tutte le culture sono uguali, sarà impossibile organizzare una difesa della civiltà occidentale.
Nell’attuale crisi spirituale dell’Europa, il relativismo potrebbe rappresentare la stessa fatale debolezza del politeismo degli abitanti della Mecca del settimo secolo, che troppo a lungo tollerarono Maometto entro le mura della città, e ne furono poi conquistati.
Il merito di chi difese la Cristianità
Nella sua storia la Cristianità si è già trovata in situazioni altrettanto critiche, ed è sempre riuscita a trovare la forza morale per salvarsi. Le crociate, presentate dall’attuale vulgata politicamente corretta come forme di intolleranza e aggressività, furono invece uno dei momenti più nobili ed eroici della difesa della civiltà occidentale.
Le crociate apparvero per la prima volta solo dopo mille anni di storia cristiana quando l’islam, un colosso che si estendeva dalla Spagna all’India, aveva già conquistato con le armi più della metà dei territori della Cristianità. Solo a quel punto la Chiesa decise di impegnarsi con tutte le sue forze per salvare l’Europa, perché la sopravvivenza della Cristianità era in pericolo.
Il Cristianesimo è una religione pacifica, che è disposta a prendere la spada solo quando è minacciata di conquista e distruzione. I crociati decisero di farlo, sopportando enormi sacrifici personali e costi economici, e salvarono in questo modo la nostra civiltà.
E’ vero che la crociate non riuscirono a recuperare in via permanente la Terrasanta, però ritardarono la conquista di Costantinopoli per altri tre secoli e mezzo, e con essa l’invasione dell’Europa centrale, dando il tempo alla Cristianità di rafforzarsi.
Anche la Reconquista della penisola iberica faceva ufficialmente parte delle crociate, e senza di essa gli europei non avrebbero mai scoperto l’America. Il viaggio di Colombo, infatti, divenne concretamente realizzabile solo dopo la presa di Granada, l’ultimo dominio dei Mori in Spagna.
La colonizzazione del continente americano da parte dei cristiani, e la conseguente prosperità generata dai commerci interatlantici, rovesciarono definitivamente gli equilibri a favore della Cristianità. Un Cristoforo Colombo islamico che fosse partito dall’Andalusia musulmana avrebbe invece portato il Nuovo Mondo sotto l’insegna della Mezzaluna, e a quel punto il dominio mondiale dei seguaci di Maometto sarebbe stato solo una questione di tempo.
Il sangue, la fatica e il coraggio dei crociati non salvarono solo la Cristianità, ma il mondo intero. Per questo motivo dobbiamo essere riconoscenti alla Chiesa e ai monarchi europei, specialmente quelli spagnoli e portoghesi, che unirono i loro sforzi per fermare l’avanzata islamica.
Tra un paio di generazioni l’Europa sarà molto più religiosa di quanto lo sia oggi, se non altro perché le persone di fede tendono ad avere più figli di quelle non religiose. L’unica questione rilevante è: sarà il Cristianesimo o l’islam la religione che prenderà il posto dello sterile e suicida secolarismo?
Solo se gli europei torneranno a seguire il comandamento biblico di costituire famiglie numerose, religiose e unite potranno affrontare con successo la crisi che incombe sul vecchio continente. Questi figli amati, devoti e motivati rappresentano l’unica speranza che ha l’Europa per risolvere i problemi di domani.
Guglielmo Piombini
(Radici Cristiane, n. 19, novembre 2006)
CROLLO DEMOGRAFICO E RITORNO ALLA FEDE. NE VA DEL NOSTRO FUTURO
Da alcuni decenni gli abitanti dell’Europa stanno sperimentando una situazione paradossale: vivono più a lungo ma mettono al mondo meno figli. Inevitabilmente, quando le folte generazioni del baby-boom nate tra il 1950 e il 1964 usciranno dal mondo del lavoro per andare in pensione, trascineranno il vecchio continente in uno stato d’emergenza. Per la prima volta nella storia, infatti, le classi non più in età produttiva e riproduttiva costituiranno la grande maggioranza della società.
L’Europa verrà investita da una “tempesta perfetta”, perché contemporaneamente verranno al pettine tutti i nodi delle attuali tendenze negative: il calo e l’invecchiamento della popolazione, la riduzione della forza lavoro, l’esplosione delle spese degli stati assistenziali, e la presenza maggioritaria di popolazioni musulmane in molte aree del vecchio continente, per effetto della loro massiccia immigrazione e alta fertilità. Secondo alcuni autorevoli osservatori (come Niall Ferguson, Bernard Lewis, Mark Steyn, Bat Ye’or, George Weigel) la civiltà europea potrebbe non superare questa crisi, e venire assorbita dalla civiltà islamica prima della fine del secolo.
Cause del regresso demografico
Per avere un’idea del crollo della natalità che si è verificato nell’ultimo quarto di secolo, basti pensare che in Italia nel decennio 1950-1959 nacquero 8.824.000 bambini; nel successivo decennio del boom economico, dal 1960 al 1969, ne nacquero ben 9.679.000; negli anni Settanta le nascite calarono a 8.304.000, e poi avvenne il crollo: nel decennio 1980-1989 le nascite furono 5.987.000, e nel 1990-1999 solo 5.367.000; se negli anni Sessanta il saldo fra nascite e morti era stato positivo per 4.653.000 unità, negli anni Novanta c’è stato un saldo negativo per 177.000 unità, e tendenze analoghe si sono verificate un po’ in tutto il continente.
Una debacle demografica di simili proporzioni si può spiegare solo con una profonda demoralizzazione morale e spirituale, il cui sintomo più evidente è il declino delle pratiche e delle credenze religiose. Un numero crescente di studi, infatti, conferma che ovunque la mappa dell’infertilità coincide con quella della secolarizzazione.
Da quando hanno perso la fede religiosa per abbracciare un’etica materialistica, gli europei hanno iniziato ad accettare l’aborto, il controllo delle nascite, i matrimoni gay e la promiscuità sessuale, e smesso di andare in chiesa, di prendere la Bibbia sul serio, di credere nel futuro e di avere figli.
La secolarizzazione, infatti, favorisce negli individui un atteggiamento edonistico di corto respiro, programmato sul breve arco della vita terrena, mentre la fede religiose spinge le persone a progettare la propria esistenza secondo un orizzonte temporale più lungo.
Gli europei dei secoli passati avevano gli occhi rivolti all’eternità e al futuro della Cristianità, e si impegnavano in progetti, come la costruzione delle cattedrali, che potevano durare secoli. La cattedrale di Colonia, ad esempio, ha richiesto più di trecento anni di lavoro per essere edificata, e coloro che la iniziarono sapevano bene che non l’avrebbero mai vista completata.
Nel breve orizzonte temporale preso in considerazione dall’europeo irreligioso contemporaneo, invece, rimane poco posto per i figli, che impongono responsabilità, costi e sacrifici immediati in cambio di pochi benefici futuri, dato che all’assistenza durante gli anni della vecchiaia provvedono gli apparati pensionistici e sanitari dello Stato sociale.
Proprio il welfare state, destinato alla bancarotta a causa dei suoi colossali deficit, incarna più di ogni altra istituzione il breve orizzonte temporale dell’utopia secolare socialdemocratica, in cui si consumano senza ritegno le risorse presenti mettendo tutto in conto alle generazioni future, se vi saranno.
Il relativismo, porta aperta per l'islam
La secolarizzazione produce anche un secondo effetto negativo, generando società troppo permissive e senza fibra morale, incapaci di resistere agli attacchi delle culture agguerrite provenienti dall’esterno. Nelle società irreligiose non esistono più standard fissi di moralità, si oscura la differenza tra il bene e il male, e tutto diventa relativo.
È questo il motivo per cui nell’attuale Europa è diventato impossibile criticare l’islam, anche di fronte alle sue manifestazioni più eclatanti di prepotenza e di violenza. Il relativismo culturale ha infatti educato gli europei all’idea che la propria cultura non abbia nulla di particolare che meriti di essere protetto, mentre il multiculturalismo impone di tollerare anche coloro che non ti tollerano e che desiderano distruggerti.
È probabile infatti che l’islamizzazione dell’Europa, invece di condurre all’utopia multiculturalista, produca una totale metamorfosi politica e culturale del vecchio continente, come sempre è accaduto in passato alle terre assoggettate dall’islam.
Se gli islamici dovessero prendere il sopravvento, le grandi realizzazioni della cultura europea generata dal Cristianesimo rischiano di diventare un lontano ricordo, e fra meno di cento anni l’Europa di San Benedetto e San Francesco, di San Tommaso e Dante, di Cervantes e Shakespeare, di Leonardo e Michelangelo, di Tiziano e Rembrandt, di Copernico e Newton, di Bach e Mozart, di Fleming e Pasteur, di Goethe e Hugo, di Dostoevskij e Tolstoj, di Solgenitsin e Wojtyla potrebbe esistere solo sui libri di storia e nei musei. Oppure, peggio ancora, le vestigia dell’Europa cristiana potrebbero subire la sorte delle statue dei grandi Budda dell’Afghanistan, demolite dai talebani.
L’Europa rischia di perdere il suo patrimonio spirituale più importante, e di precipitare nel dispotismo, nella stagnazione intellettuale e nell’arretratezza economica che caratterizza le terre dell’islam.
Noi europei di oggi siamo i fortunati eredi della civiltà che ha prodotto la quasi totalità delle più grandi creazioni intellettuali della storia umana, come ha dimostrato il sociologo Charles Murray nel libro Human Accomplishment (Harper Collins, 2003). È necessario però che la religione che ha originato questa civiltà unica sia vivificata, perché la scienza, la filosofia, l’arte e la libertà che tanto apprezziamo, se private dei loro fondamenti culturali originari, sono destinate ad evaporare.
Per affrontare questa sfida cruciale il secolarismo è uno degli ostacoli maggiori, perché incoraggia la denatalità, la mancanza di fiducia, i dubbi e l’apatia. Il multiculturalismo e l’egualitarismo devono essere screditati se l’Europa vuole sopravvivere, perché fino a quando l’ideologia dominante imporrà l’idea che tutte le culture sono uguali, sarà impossibile organizzare una difesa della civiltà occidentale.
Nell’attuale crisi spirituale dell’Europa, il relativismo potrebbe rappresentare la stessa fatale debolezza del politeismo degli abitanti della Mecca del settimo secolo, che troppo a lungo tollerarono Maometto entro le mura della città, e ne furono poi conquistati.
Il merito di chi difese la Cristianità
Nella sua storia la Cristianità si è già trovata in situazioni altrettanto critiche, ed è sempre riuscita a trovare la forza morale per salvarsi. Le crociate, presentate dall’attuale vulgata politicamente corretta come forme di intolleranza e aggressività, furono invece uno dei momenti più nobili ed eroici della difesa della civiltà occidentale.
Le crociate apparvero per la prima volta solo dopo mille anni di storia cristiana quando l’islam, un colosso che si estendeva dalla Spagna all’India, aveva già conquistato con le armi più della metà dei territori della Cristianità. Solo a quel punto la Chiesa decise di impegnarsi con tutte le sue forze per salvare l’Europa, perché la sopravvivenza della Cristianità era in pericolo.
Il Cristianesimo è una religione pacifica, che è disposta a prendere la spada solo quando è minacciata di conquista e distruzione. I crociati decisero di farlo, sopportando enormi sacrifici personali e costi economici, e salvarono in questo modo la nostra civiltà.
E’ vero che la crociate non riuscirono a recuperare in via permanente la Terrasanta, però ritardarono la conquista di Costantinopoli per altri tre secoli e mezzo, e con essa l’invasione dell’Europa centrale, dando il tempo alla Cristianità di rafforzarsi.
Anche la Reconquista della penisola iberica faceva ufficialmente parte delle crociate, e senza di essa gli europei non avrebbero mai scoperto l’America. Il viaggio di Colombo, infatti, divenne concretamente realizzabile solo dopo la presa di Granada, l’ultimo dominio dei Mori in Spagna.
La colonizzazione del continente americano da parte dei cristiani, e la conseguente prosperità generata dai commerci interatlantici, rovesciarono definitivamente gli equilibri a favore della Cristianità. Un Cristoforo Colombo islamico che fosse partito dall’Andalusia musulmana avrebbe invece portato il Nuovo Mondo sotto l’insegna della Mezzaluna, e a quel punto il dominio mondiale dei seguaci di Maometto sarebbe stato solo una questione di tempo.
Il sangue, la fatica e il coraggio dei crociati non salvarono solo la Cristianità, ma il mondo intero. Per questo motivo dobbiamo essere riconoscenti alla Chiesa e ai monarchi europei, specialmente quelli spagnoli e portoghesi, che unirono i loro sforzi per fermare l’avanzata islamica.
Tra un paio di generazioni l’Europa sarà molto più religiosa di quanto lo sia oggi, se non altro perché le persone di fede tendono ad avere più figli di quelle non religiose. L’unica questione rilevante è: sarà il Cristianesimo o l’islam la religione che prenderà il posto dello sterile e suicida secolarismo?
Solo se gli europei torneranno a seguire il comandamento biblico di costituire famiglie numerose, religiose e unite potranno affrontare con successo la crisi che incombe sul vecchio continente. Questi figli amati, devoti e motivati rappresentano l’unica speranza che ha l’Europa per risolvere i problemi di domani.
Guglielmo Piombini
(Radici Cristiane, n. 19, novembre 2006)
09 novembre 2006
9 novembre 1989: silenzio di tomba. Dov’è la sinistra riformista?
Silenzio tombale. Sull’anniversario della caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989) è calata, inesorabile, l’indifferenza più ostinata. E dire che una legge dello scorso anno istituisce il Giorno della Libertà, impone alle istituzioni locali di celebrare cerimonie ufficiali commemorative e chiede alle scuole di organizzare momenti di approfondimento. Invece nulla di nulla.
Ieri il quotidiano Libero gridava contro la disattenzione del centrodestra, smemorato pure lui. Ma almeno la Casa delle Libertà qualcosa ha fatto quando governava. A noi interessa mettere in luce il profondo imbarazzo che giunge dall’ala riformista della sinistra, di cui tutti parlano e nessuno vede mai. E non pare vedersi neppure oggi, quando le farebbe molto comodo, a nostro modesto avviso, testimoniare la sua esistenza marcando la distanza dai massimalisti. O quanto meno uscire da quel buco nero dove a dominare sono veterocomunisti, sindacalisti d’altri tempi, sottosegretari di lotta e di governo, dipendenti pubblici imboscati e compagnia cantante.
Insomma dove sono i radicali prodini, i socialisti di Boselli, i presentabili della Margherita, i dalemiani sempre pronti a far vibrare il baffo, i mastelliani, i diniani? Provate a fare un salto (di dignità) ogni tanto, così magari vi si vede all’interno del gruppone. Possibile che la giornata di oggi non vi stimoli neppure uno straccio di comunicato stampa, un sussurro ad una qualche tv (ne avete talmente tante attorno a voi)?
Ieri il quotidiano Libero gridava contro la disattenzione del centrodestra, smemorato pure lui. Ma almeno la Casa delle Libertà qualcosa ha fatto quando governava. A noi interessa mettere in luce il profondo imbarazzo che giunge dall’ala riformista della sinistra, di cui tutti parlano e nessuno vede mai. E non pare vedersi neppure oggi, quando le farebbe molto comodo, a nostro modesto avviso, testimoniare la sua esistenza marcando la distanza dai massimalisti. O quanto meno uscire da quel buco nero dove a dominare sono veterocomunisti, sindacalisti d’altri tempi, sottosegretari di lotta e di governo, dipendenti pubblici imboscati e compagnia cantante.
Insomma dove sono i radicali prodini, i socialisti di Boselli, i presentabili della Margherita, i dalemiani sempre pronti a far vibrare il baffo, i mastelliani, i diniani? Provate a fare un salto (di dignità) ogni tanto, così magari vi si vede all’interno del gruppone. Possibile che la giornata di oggi non vi stimoli neppure uno straccio di comunicato stampa, un sussurro ad una qualche tv (ne avete talmente tante attorno a voi)?
04 novembre 2006
Ai banchetti di Forza Italia non mi hanno tirato le uova
Sono rari i casi in cui la notizia sta in ciò che non accade piuttosto che in quello che accade. Ma in occasione dei banchetti organizzati da Forza Italia durante il weekend del 28 e 29 ottobre scorsi, per protestare contro la Finanziaria di Prodi, deve far riflettere il fatto che sia andato tutto liscio. Traduzione. Per chi vive in Emilia-Romagna, o in una qualche altra regione dominata dalla sinistra per diritto cooperativo, resistenziale e antifasista (il refuso è voluto), c’è un termometro molto artigianale ma altrettanto efficace per misurare il gradimento del partito e in generale del centrodestra tra la gente.
Se quando scendi nelle vie per fare propaganda e distribuire volantini i passanti non te li strappano guardandoti con gli occhi iniettati di sangue, se non ti insultano, non ti tirano le uova, non ti minacciano apertamente (tutti “contrattempi” accaduti a chi scrive con una certa regolarità negli ultimi anni), allora vuol dire che il vento ce l’hai alle spalle e non in faccia. E se poi i tuoi avversari, che tu conosci benissimo, ti squadrano di lontano e sui loro visi immusoniti si disegnano i tratti inconfondibili dell’imbarazzo, puoi star sicuro che stanno rosicando. E se, ancora, ti camminano a due metri di distanza facendo finta di nulla, e quindi implicitamente tradiscono la considerazione che loro hanno di te dalla notte dei tempi come usurpatore di spazio pubblico (solo loro, infatti, possono andare in piazza, non gli altri), a quel punto ecco la pistola fumante: i compagni stanno vivendo i giorni peggiori dalla vittoria di aprile.
Bene, la settimana scorsa abbiamo provato tutto questo. Era una splendida giornata di sole in uno dei più brutti comuni alle porte di Bologna, Calderara di Reno. Brutto perché violentato da una urbanistica senza capo né coda e da un sindaco non all’altezza (a proposito, sulla qualità in picchiata dei dirigenti ds anche nelle zone rosse, prima o poi scriveremo qualcosa). Non ci facevamo vedere nella centrale piazza Marconi dall’antivigilia delle elezioni, quando un energumeno si piantò di fronte a noi e ci urlò che dovevamo vergognarci, aggiungendo che di lì a qualche giorno saremmo scomparsi. Facendoci capire che se non ci avesse pensato il “popolo democratico”, ci avrebbe pensato lui. Noi gli promettemmo che quanto prima saremmo tornati. Promessa mantenuta.
Dunque, siamo arrivati con l’armamentario di ordinanza: tavolino, bandiere, materiale vario da distribuire. Abbiamo preso posto di buon’ora giusto di fronte alla chiesa e lì ci siamo messi a lavorare. L’accoglienza iniziale, tra i pochi passanti, è stata quella di sempre: fredda che più fredda non si poteva. Poi pian piano ci siamo scaldati. Grazie non solo ai soliti amici ma anche per l’interesse di persone mai viste prima, che venivano da noi a chiederci se potevano firmare “qualcosa”. Di fronte alla nostra proposta di sottoscrivere la petizione contro la cittadinanza in cinque anni agli immigrati, lesti tiravano fuori la penna e soddisfatti ci lasciavano il loro autografo.
Così siamo andati avanti fino a sera. Senza alcun incidente di sorta. Anzi, conoscendo un sacco di gente che prima ci evitava accuratamente. Un segnale molto più inequivocabile dei sondaggi. Dall’altra parte c’è scoramento, insoddisfazione, riconoscimento che l’epiteto lanciato dal Berlusca in campagna elettorale un qualche fondamento ce l’aveva.
Negli stessi giorni si svolgeva sulle colline bolognesi, a Monghidoro per essere precisi, la festa provinciale azzurra. Organizzata dal consigliere regionale Ubaldo Salomoni, è stata una festa in tutti i sensi. Partecipazione massiccia di militanti e simpatizzanti, ma anche di noti elettori della Margherita, si è dipanata lungo sette tavole rotonde: dal ruolo dei cattolici in politica, all’impegno dei giovani, ai temi dell’informazione e dell’economia. Un ringraziamento particolare va agli esponenti di Forza Italia che si sono sciroppati centinaia di chilometri pur di esserci: Renato Brunetta, Benedetto Della Vedova, Alessandro Gianmoena (direttore editoriale di “Ragionpolitica”) e Francesco Pasquali (segretario nazionale dei giovani di Forza Italia).
Conclusione? Semplice: c’è una gran voglia di tornare a far politica sul territorio. C’è una gran voglia di partecipare, di dare il proprio contributo. Il vento è alle nostre spalle: che bello ritornare a correre!
Se quando scendi nelle vie per fare propaganda e distribuire volantini i passanti non te li strappano guardandoti con gli occhi iniettati di sangue, se non ti insultano, non ti tirano le uova, non ti minacciano apertamente (tutti “contrattempi” accaduti a chi scrive con una certa regolarità negli ultimi anni), allora vuol dire che il vento ce l’hai alle spalle e non in faccia. E se poi i tuoi avversari, che tu conosci benissimo, ti squadrano di lontano e sui loro visi immusoniti si disegnano i tratti inconfondibili dell’imbarazzo, puoi star sicuro che stanno rosicando. E se, ancora, ti camminano a due metri di distanza facendo finta di nulla, e quindi implicitamente tradiscono la considerazione che loro hanno di te dalla notte dei tempi come usurpatore di spazio pubblico (solo loro, infatti, possono andare in piazza, non gli altri), a quel punto ecco la pistola fumante: i compagni stanno vivendo i giorni peggiori dalla vittoria di aprile.
Bene, la settimana scorsa abbiamo provato tutto questo. Era una splendida giornata di sole in uno dei più brutti comuni alle porte di Bologna, Calderara di Reno. Brutto perché violentato da una urbanistica senza capo né coda e da un sindaco non all’altezza (a proposito, sulla qualità in picchiata dei dirigenti ds anche nelle zone rosse, prima o poi scriveremo qualcosa). Non ci facevamo vedere nella centrale piazza Marconi dall’antivigilia delle elezioni, quando un energumeno si piantò di fronte a noi e ci urlò che dovevamo vergognarci, aggiungendo che di lì a qualche giorno saremmo scomparsi. Facendoci capire che se non ci avesse pensato il “popolo democratico”, ci avrebbe pensato lui. Noi gli promettemmo che quanto prima saremmo tornati. Promessa mantenuta.
Dunque, siamo arrivati con l’armamentario di ordinanza: tavolino, bandiere, materiale vario da distribuire. Abbiamo preso posto di buon’ora giusto di fronte alla chiesa e lì ci siamo messi a lavorare. L’accoglienza iniziale, tra i pochi passanti, è stata quella di sempre: fredda che più fredda non si poteva. Poi pian piano ci siamo scaldati. Grazie non solo ai soliti amici ma anche per l’interesse di persone mai viste prima, che venivano da noi a chiederci se potevano firmare “qualcosa”. Di fronte alla nostra proposta di sottoscrivere la petizione contro la cittadinanza in cinque anni agli immigrati, lesti tiravano fuori la penna e soddisfatti ci lasciavano il loro autografo.
Così siamo andati avanti fino a sera. Senza alcun incidente di sorta. Anzi, conoscendo un sacco di gente che prima ci evitava accuratamente. Un segnale molto più inequivocabile dei sondaggi. Dall’altra parte c’è scoramento, insoddisfazione, riconoscimento che l’epiteto lanciato dal Berlusca in campagna elettorale un qualche fondamento ce l’aveva.
Negli stessi giorni si svolgeva sulle colline bolognesi, a Monghidoro per essere precisi, la festa provinciale azzurra. Organizzata dal consigliere regionale Ubaldo Salomoni, è stata una festa in tutti i sensi. Partecipazione massiccia di militanti e simpatizzanti, ma anche di noti elettori della Margherita, si è dipanata lungo sette tavole rotonde: dal ruolo dei cattolici in politica, all’impegno dei giovani, ai temi dell’informazione e dell’economia. Un ringraziamento particolare va agli esponenti di Forza Italia che si sono sciroppati centinaia di chilometri pur di esserci: Renato Brunetta, Benedetto Della Vedova, Alessandro Gianmoena (direttore editoriale di “Ragionpolitica”) e Francesco Pasquali (segretario nazionale dei giovani di Forza Italia).
Conclusione? Semplice: c’è una gran voglia di tornare a far politica sul territorio. C’è una gran voglia di partecipare, di dare il proprio contributo. Il vento è alle nostre spalle: che bello ritornare a correre!
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