Abbiamo già segnalato in un precedente intervento che la controriforma dell’imposta sul reddito, operata dal governo Prodi con la Finanziaria 2007, configura una vera e propria aggressione al padre di famiglia.
Ma ora che, dal 1° gennaio scorso, è entrata in vigore la versione definitiva della legge, sembra che a subire anche le beffe, oltre al danno, saranno le sterminate legioni dei padri separati dalla moglie o dalla ex-compagna, e non affidatari dei propri figli.
Come è noto, fino alla recente entrata in vigore della legge n. 54 del 2006, questi ultimi rappresentavano la stragrande maggioranza dei padri separati, visto che sotto il previgente regime i figli minori venivano affidati di diritto alla sola madre in circa l’84% dei casi.
Anche rispetto a tale categoria di padri, bisogna innanzitutto ricordare che il primo modulo della riforma Tremonti – voluta dal governo Berlusconi – aveva sostituito le tradizionali detrazioni Irpef per gli oneri di famiglia con un sistema di deduzioni.
Vale a dire che lo sgravio fiscale per i figli a carico non veniva più applicato a somma fissa sull’imposta già calcolata, bensì in percentuale sul reddito imponibile. Nell’unico anno nel quale è stata in vigore, questa modifica ha apportato un sensibile effetto perequativo a favore dei redditi medi e medio-alti, che poi sono quelli tipici delle famiglie monoreddito, che in genere vivono del lavoro del solo padre specie quando si tratta di famiglie numerose.
Anche nel caso dei genitori separati entrambi percettori di reddito, la riforma Tremonti aveva previsto che, in assenza di diversi accordi tra di loro, la deduzione per gli oneri di famiglia dovesse essere operata al 50% su ciascuno. Questo indipendentemente dal regime di affidamento dei figli disposto dal Tribunale. Qualora invece l’unico a percepire reddito fosse il padre separato, la deduzione sarebbe stata applicata interamente a lui, così come nel caso che la moglie – come spesso accade nella pratica – percepisse un reddito al di sotto della soglia imponibile.
In questo modo si era pure attenuata l’ingiustizia sostanziale derivante dal fatto che, in linea di principio, gli assegni di mantenimento per i figli non fossero – come non sono tuttora – detraibili dal reddito, a differenza di quelli per la coniuge separata.
Ma ora, con le nuove disposizioni della Finanziaria 2007 (al comma 6 dell’ormai mitico “articolo unico” della legge n. 296), si è stabilito che le nuove – già piuttosto micragnose – detrazioni spetteranno tutte “in mancanza di accordo, al genitore affidatario”.
Vale a dire che tali sgravi in misura fissa, oltre a risultare per se stessi estremamente penalizzanti rispetto alle deduzioni della riforma Tremonti, e tendenti ad annullarsi già in presenza di redditi medi, non saranno nemmeno più suddivisibili tra i redditi dei due genitori separati. A meno di intese spontanee tra di essi, che però, vista la frequente conflittualità dei rapporti, si può prevedere che assai difficilmente verranno raggiunte nella pratica.
Dunque, se il nuovo sistema già penalizzava ampiamente i padri monoreddito, ora questa “svista” del legislatore aggiungerà ulteriori motivi di malcontento, per chi oltre ad essere padre ha anche subito la separazione dalla famiglia. Se difatti l’ex-compagna che vive coi figli percepisce un reddito, la seppur modesta detrazione per gli oneri di mantenimento di questi ultimi non potrà infatti essere fruita dal padre nemmeno al 50%, come invece sarebbe avvenuto per le deduzioni volute dal governo Berlusconi.
Invece, le detrazioni di Prodi e Visco saranno tutte godute dal genitore affidatario – diciamo pure la moglie – che potrà usufruire dell’intera detrazione, nonostante il relativo reddito sia stato prodotto anche (e in molti casi, quasi soltanto) dal marito separato, e a lei trasferito ope legis mediante gli assegni disposti dal Tribunale.
La scelta potrebbe anche avere una sua perversa logica, visto che si tratta di un reddito tassato in capo al genitore affidatario, se non fosse che il senso della detrazione dovrebbe essere proprio quello di riconoscere un minimo di favore al genitore che quel reddito lo produce per destinarlo alla famiglia, nonostante la separazione, e non a quello che lo percepisce soltanto.
Peraltro, non sembra trattarsi di una svista, visto che la nuova Finanziaria si è preoccupata di precisare che – nel caso che uno dei genitori separati non possa usufruire in tutto o in parte della detrazione – questa potrà essere riversata all’altro, quantomeno per la differenza. Ma è una precisazione che suona come un’ulteriore beffa per il padre separato, specie per quello che già di suo guadagna meno della propria ex.
Infatti, possiamo già prevedere che assai difficilmente, nella pratica, i padri separati potranno contare sulla benevola solidarietà dell’ormai non più dolce metà, per ottenere da essa la comunicazione dei suoi (maggiori) redditi, in modo da poter riversare sui propri la detrazione eventualmente da lei non goduta. Tra l’altro, solo per questo motivo, la nuova disciplina tributaria potrebbe anche diventare fonte di ulteriori frustranti contenziosi tra i coniugi separati.
Al contrario, in caso di affidamento condiviso o congiunto, anche secondo la nuova disciplina la detrazione si applicherà al 50% sui redditi dei due coniugi. E varrà comunque il meccanismo del “recupero” sul reddito dell’altro della detrazione non fruibile da uno dei due.
Questa possibilità dovrebbe risultare più equa, ma secondo noi non farà che rendere più atroce e ingiustificabile la beffa a danno dei padri non-affidatari dei figli, considerato che – nella pratica – si può già osservare che il nuovo sistema dell’affidamento condiviso non sta modificando più di tanto il sistema della allocazione dei redditi dell’ex-nucleo familiare.
Infatti, buona parte delle prime decisioni adottate dai Tribunali di merito stanno continuando a prevedere che uno dei genitori separati debba comunque rimanere “collocatario” della prole, e quindi beneficiario di un assegno versato dall’altro in misura fissa.
Le formule innovative rese praticabili dalla legge n. 54/2006, come quella dell’affidamento “alternato” (nel quale i figli possono andare a vivere a periodi ripartiti presso l’abitazione dell’uno e dell’altro genitore) non stanno avendo molto successo, anche per evidenti problemi pratici.
Insomma, quello che sta cambiando nel menage delle separazioni pare essere solo una possibilità di maggiore controllo (ma spesso solo in linea di principio) sulla effettiva destinazione dell’assegno di mantenimento a favore delle esigenze dei figli. Decisamente un po’ poco per giustificare il diverso trattamento fiscale, imposto dalla nuova Finanziaria a danno delle legioni di padri separati non affidatari.
Non dimentichiamoci infatti che il principio cardine della materia rimane che ciò il marito passa alla moglie per ordine del Tribunale viene tassato solo come reddito di quest’ultima, mentre le spese per i figli sono sempre e comunque indeducibili. Questo è il meccanismo decisamente anti-familiare che sta anche alla base del crescente fenomeno delle separazioni “fiscali”, operate in accordo tra i coniugi per lucrare sulla minore aliquota gravante sul coniuge destinatario dell’assegno (in genere, cioè, la moglie casalinga o percipiente reddito molto basso, e talvolta in nero). Laddove non consacrato dal provvedimento del Tribunale, il costo del mantenimento della moglie stessa sconterebbe difatti la maggiore aliquota prevista per il reddito maritale.
Peraltro, come già scritto in altro articolo, le separazioni “fiscali” sono in aumento anche per poter lucrare sul vasto sistema di esenzioni, agevolazioni e sconti previsto – soprattutto a livello locale – per i servizi pubblici a favore dei figli (asili, mense scolastiche, ecc.) o dello stesso nucleo familiare (assegnazione di alloggi popolari, sovvenzioni, aliquote Ici).
E’ noto infatti che i criteri adottati dai vari Comuni, così gli “indicatori di situazione economica” sui quali si basano le graduatorie per la concessione dei predetti servizi, tendono a favorire moltissimo i nuclei cosiddetti “monoparentali” – cioè quelli dove solo un genitore risiede col figlio – e quelli dove solo un coniuge lavora, ovvero non è titolare dell’alloggio in cui vive. Cioè, nella pratica, le madri separate. Ma questo è già un altro discorso.