27 giugno 2007

A Bologna è guerra di tutti contro tutti

A Bologna se il centrosinistra è alla canna del gas, il centrodestra non mostra una bella cera. I fatti. La settimana scorsa, i ragazzotti no global e dei centri sociali hanno preso a male parole il sindaco durante una manifestazione organizzata per rispondere a una sfilata di Forza Nuova. “Cofferati pezzo di m…” è stato il complimento più volte lanciato all’indirizzo di Palazzo d’Accursio e di chi ne regge le sorti. Tra i protestatari c’era anche Tiziano Loreti, segretario provinciale di Rifondazione comunista, partito di maggioranza in Comune. Passano due giorni e arriva la risposta di Virginio Merola, assessore e uomo forte di Cofferati. “Non ne posso più di questa compagnia” sbotta, riferendosi al Prc e in generale a tutta la sinistra estrema, che da tempo recita il ruolo che le si attaglia di più: quello di forza di lotta e di governo. Parole, quelle di Merola, condivise anche dal capogruppo diessino Claudio Merighi. La Margherita non resta alla finestra. Giuseppe Paruolo, altro assessore, diellino e cattolico, si butta nella mischia: “Non si può andare avanti così”. Sia chiaro, non è la prima volta che tra antagonisti e riformisti dell’Unione esplodono baruffe all’ombra delle Due Torri.

L’ambiguità arriva da lontano, in pratica dall’innaturale cartello elettorale messo insieme tre anni fa contro l’allora sindaco Giorgio Guazzaloca al solo scopo di battere la destra. Subito dopo la vittoria, infatti, partirono le prime contestazioni contro Cofferati, accusato sul tema della legalità di tenere comportamenti che con la sinistra buonista non c’entravano nulla. Uno stillicidio di punzecchiature, agguati, ritorsioni che ben presto fece capire a tutti ciò che era evidente fin dall’inizio: nel centrosinistra le posizioni su tantissimi temi erano e restano inconciliabili. Tanto inconciliabili che la città non è più amministrata da tempo. Ingessata, immobile anche a parere di osservatori neutrali. Contraddizione che sarebbe esplosa di lì a poco anche all’interno del governo prodiano. Ora, però, si potrebbe essere giunti al duello finale. In gioco infatti c’è il Partito democratico. Per questo la crisi che in questi giorni va in scena a Bologna non è una delle tante querelle destinate a rientrare nell’arco di qualche ora. Sul tavolo si trova la ricandidatura di Cofferati nel 2009, che a sua volta si riflette sulla solidità delle radici del Pd. L’ex leader della Cgil se n’è venuto fuori con un mossa da sindacalista, che ha sparigliato il gioco delle parti. Sulla sicurezza, suo cavallo di battaglia (bolso, però, visti i risultati) ha buttato una polpetta avvelenata nel campo del centrodestra chiedendo collaborazione.

La risposta positiva è arrivata da Alleanza nazionale, che avrebbe una voglia matta di correre da sola alle prossime elezioni amministrative. Il referente locale del partito di Fini, il deputato Enzo Raisi, è andato a colloquio con Cofferati presentando alcune proposte. L’atteggiamento del sindaco è stato conciliante: “Partenza buona” è stato il commento di Raisi all’uscita. Uno smarcamento, quello di An, che ha provocato la reazione di Forza Italia. “Sono dei consociativi” è stata l’accusa partita dal coordinamento cittadino degli azzurri. “Almeno – interviene Ubaldo Salomoni, consigliere regionale Fi e recordman di preferenze nel partito di Berlusconi -, An mostra di avere una strategia. Che è quella di accrescere il proprio peso all’interno della coalizione di centrodestra, peso che andrà a far valere nella trattativa con i guazzalochiani della lista civica ‘La tua Bologna’. Per quanto ci riguarda, resto convinto della bontà della proposta fatta qualche mese fa dal nostro deputato Fabio Garagnani, e condivisa dall’onorevole Bondi, di puntare su primarie allargate a tutto il centrodestra per la scelta del candidato sindaco da contrapporre alla sinistra.

E’ questa la direzione - conclude Salomoni - che un partito come il nostro, con il 20 per cento dei consensi, dovrebbe scegliere”. Da Guazzaloca, dimessosi da consigliere comunale il giorno dopo la sconfitta senza neppure uno straccio di giustificazione verso i 140mila bolognesi che l’avevano votato e trasferito da Casini in una qualche authority romana (ben pagata) , per ora arrivano solo silenzi. Che però parlano più di cento dichiarazioni. La voglia di riprovarci è tanta e forse la decisione è già stata presa. Altrimenti avrebbe già fatto sapere la sua indisponibilità. Sta solo aspettando il momento migliore per lasciare la capitale e riprendere a proferire verbo. Per ora si limita a qualche comparsata bolognese. In silenzio.

Graziano Girotti
(L'opinione, 26 giugno 2007)

19 giugno 2007

Fi, ora primarie nazionali

A Roma si sono svolte le primarie per scegliere la dirigenza locale di Forza Italia. La buona notizia è doppia. Intanto, si sono tenute. E, secondo, pare abbiano raccolto un grande successo. A dir la verità, ci sarebbe un terzo motivo per rallegrarsi dell’avvenimento: le valutazioni più che positive di Silvio Berlusconi e Sandro Bondi. Il primo ha manifestato l’intenzione di ripeterle in altre città, mentre il coordinatore nazionale degli azzurri ha parlato “di coinvolgimento reale dei cittadini, per una politica che corrisponde ai loro bisogni”. Sottoscriviamo. Ora, però, si continui su questa strada senza distrarsi. Forza Italia ha bisogno delle primarie sul territorio così come per il sistema politico in generale è fondamentale introdurre le preferenze nella futura legge elettorale. In entrambi i casi l’obiettivo è il medesimo: riavvicinare la gente comune, disgustata da dieci, cento, mille teatrini. Per gli azzurri, poi, la sfida è ancora più delicata. Le recenti elezioni amministrative hanno dimostrato che Berlusconi è essenziale non solo al suo partito bensì all’intero centrodestra.

Ma il consenso che Forza Italia ha raccolto dalle Alpi alla Sicilia va gestito, conservato, se possibile ampliato. In assenza di tanti cloni di Silvio per quanti sono gli enti locali, ciò dipende sia dal personale eletto alla guida di Comuni e Province sia dalla classe dirigente di cui il partito si doterà nei congressi autunnali. Per far sì che Forza Italia esca nel migliore dei modi dalle decine e decine di commissariamenti che l’hanno martellata in questi ultimi anni, segnale delle difficoltà di diventare un partito “normale” e della sua totale dipendenza dal leader, le primarie rappresentano una occasione particolarmente ghiotta. Una sana concorrenza tra aspiranti dirigenti servirà a selezionare quelli migliori. A meno che quello che si è definito fin dalla sua fondazione come il partito liberale di massa non creda più in uno dei capisaldi del liberismo: la concorrenza, appunto. E poi chi sono i migliori se non coloro che hanno un consenso ben radicato nella base, che sanno avvicinare e motivare persone nuove, mettendosi “fisicamente” a disposizione dell’elettorato?

I semplici soci hanno tutti i diritti di rivendicare la scelta dei propri dirigenti perché solo così si sentiranno coinvolti nella battaglia politica. Una esigenza, quest’ultima, moltiplicata per mille in quelle regioni dove prevale una tradizione di sinistra. Se c’è una parte del Paese dove Forza Italia ha il dovere di cambiare passo usando tutti gli strumenti per chiamare a raccolta ogni energia e stimolare un rigenerante coinvolgimento dal basso, è proprio quella delle regioni rosse. I suoi soci e i suoi militanti devono fare i conti con un apparato fortissimo, organizzato che ha dalla sua un potere economico inattaccabile. Di fronte a esso Forza Italia si deve dimostrare unita e in grado di utilizzare al meglio gli uomini e le donne che disinteressatamente si mettono a disposizione. La nascita, dunque, di squadre dirigenziali in grado di avere dietro di sé tutto il partito e di guidarlo senza cannibalismi interni e suicidi di massa, è una delle condizioni essenziali per guardare al domani con ottimismo.

Gia, il futuro. La federazione del centrodestra potrebbe non essere così lontana. Come ci arriverebbe Forza Italia senza aver prima selezionato sul territorio i suoi uomini più capaci? Senza aver prima cementato i rapporti tra base e classe dirigente locale? I rischi sarebbero altissimi, compreso quello di sacrificare sull’altare di personalismi di cortissimo respiro un patrimonio che in questi quasi quindici anni di vita si è rivelato l’autentica novità del nostro panorama politico. Le altre formazioni della Casa delle Libertà stanno già volteggiando nel cielo in attesa che in questa o quella piazza la solita imposizione dall’alto della dirigenza locale provochi la puntuale emorragia di sangue. Si tengano le primarie almeno in ogni città importante: sono un passaggio obbligato per la sopravvivenza del partito e il suo rilancio in vista della federazione dei partiti del centrodestra.

Graziano Girotti
(L'opinione, 19 giugno 2007)

16 giugno 2007

Tutte le balle della scienza: il libro che smonta i catastrofismi

Il titolo, ruspante e perentorio come una scudisciata, ti prende alla gola e non ti molla più. “Le balle di Newton. Tutta la verità sulle bugie della scienza” (edito da Rubbettino e nelle librerie da pochi giorni) mantiene quello che promette: smascherare le sciocchezze – tante – scritte e dette sulle emergenze del pianeta. Dal nucleare al riscaldamento globale, dall’Aids all’estinzione delle specie animali passando per le cellule staminali, la clonazione e l’insegnamento dell’evoluzione.

L’autore, l’americano Tom Bethell, editorialista dell’ “American Spectator” e collaboratore di testate come il “New York Magazine” e l’ “Atlantic Monthly”, demolisce in modo irriverente gli assiomi più granitici. Beninteso, non si tratta di un libro contro la scienza, ma una difesa del corretto metodo scientifico dagli abusi che vengono compiuti in suo nome. Una guida che si fonda su fatti e non su chiacchiere, insomma. Bella e istruttiva, come direbbe qualcuno.

Bethell è uno dei pochi scrittori, insieme a Michael Crichton, che in questi anni hanno avuto il coraggio di denunciare l’uso distorto della scienza da parte di ciarlatani che ingannano i giornalisti creduloni e scatenano isterie di massa, allo scopo di ottenere pubblicità, potere politico e finanziamenti statali. La caratteristica immancabile di queste “crisi imminenti”, infatti, è quella di richiedere sempre più interventi dello Stato, e mai di meno.

“Per inquadrare il problema in Italia – scrive Guglielmo Piombini nella prefazione, dopo essersi occupato anche della traduzione del volume - possiamo pensare ad un personaggio onnipresente sui media come Mario Tozzi, che quotidianamente dispensa al pubblico le sue ‘verità scientifiche’ ecologiste, maltusiane, anticristiane e anticapitaliste, e che è solito rispondere ai critici ostentando con arroganza le sue credenziali di scienziato. In realtà gli ambientalisti come Tozzi il più delle volte non fanno scienza, ma politica. Lo scienziato, per essere tale, dovrebbe essere in grado di azzeccare, almeno qualche volta, una previsione. Il valore predittivo della pseudo-scienza sbandierata dagli ambientalisti radicali è invece praticamente nullo: sono ormai quarant’anni che sbagliano una previsione dopo l’altra, senza avere mai fatto ammenda”.

Qualche assaggio tratto da “Le balle di Newton”. Uno dei casi più eclatanti ricordati da Bethell è quello del trattato di Kyoto sulla riduzione delle emissioni che provocano il cosiddetto effetto serra. Pochi infatti sanno che le teorie che attribuiscono a cause umane il presunto riscaldamento globale non hanno alcun fondamento scientifico sicuro, e che l’applicazione rigorosa di questo protocollo avrebbe delle ripercussioni devastanti sulle economie dei paesi industrializzati. Secondo una stima dell’International Council for Capital Formation in un paese come l’Italia il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto potrebbe causare la perdita di oltre 200 mila posti di lavoro nel 2010, mentre il prezzo dell’elettricità potrebbe salire del 13 per cento e quello del gas del 44 per cento. Tutto questo per far scendere di qualche grado la temperatura nel 2100!

Le politiche climatiche proposte per fronteggiare il riscaldamento globale sono espressione di una smisurata presunzione. In realtà non si conoscono perfettamente tutti i fattori climatici che interagiscono in maniera complessa e imprevedibile; le attuali tecniche di misurazione del clima non sono pienamente affidabili; non si sa con certezza se il riscaldamento è provocato dalle emissioni umane o dai fattori naturali; è molto difficile prevedere le conseguenze del cambiamento climatico, calcolare con precisione l’entità dei danni provocati dal riscaldamento globale, e comparare i costi e i benefici delle politiche climatiche con quelli della loro assenza; infine, è fortemente dubbio che gli obiettivi climatici possano essere realizzati per mezzo di quei sistemi di pianificazione politico-burocratici che hanno sempre fatto fiasco in ogni precedente occasione.

La campagna allarmista ha finora dato i frutti sperati, se si tiene conto che solo i contribuenti americani versano 4 miliardi di dollari all’anno nelle tasche degli scienziati e dei burocrati che lavorano attorno al problema del riscaldamento globale. Che ne sarebbe dei loro budget, impieghi e avanzamenti di carriera se risultasse che l’aumento della temperatura si deve a cause naturali che l’uomo non può controllare?

Altre balle sono state divulgate a piene mani a proposito del DDT, un insetticida formidabile messo al bando nel 1972. Proprio questa sua eliminazione dal mercato ha provocato nel Terzo Mondo la morte per malaria di milioni di persone. Ma qualche volta le bugie hanno le gambe corte, per fortuna. Nel settembre 2006 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato di aver mutato il suo orientamento, e di essere favorevole all’uso del DDT e di altri insetticidi nelle aree africane minacciate dalla malaria. Resta del tutto gonfiata, invece, l’ecatombe di Aids nell’Africa subsahariana. Bethell rivela che l’epidemia di Aids è stata completamente inventata per ragioni politiche durante una conferenza internazionale svoltasi a Bangui, in Centrafrica, nel 1985.

Da allora, mentre gli “esperti” prevedevano puntualmente scenari da peste nera e cadaveri a montagne, la popolazione dei paesi dell’Africa meridionale ha avuto la più alta crescita del mondo, passando da 434 a 733 milioni. Come nota ancora Piombini, “in vent’anni la terribile piaga ha incrementato la popolazione del 70 per cento, in un numero pari all’intera popolazione degli Stati Uniti. Sui giornalisti africani che hanno tentato di indagare meglio la faccenda è caduto l’ostracismo generalizzato”.

Graziano Girotti
(L’opinione, 16 giugno 2007)

09 giugno 2007

Papa Ratzinger sfugge alla fucilazione. Per ora

Pare che fossero in cinque milioni l’altra sera ad assistere all’esecuzione in diretta di Papa Ratzinger, il nuovo satrapo che il laicismo all’amatriciana di casa nostra ha eletto ad obiettivo da abbattere a tutti i costi. Come è andata, lo si sa: non c’è stata nessuna esecuzione perché alla fine si è scoperto che il “fatto non sussiste”. Insomma, Benedetto XVI e il Vaticano non hanno coperto un prete pedofilo che sia uno. La folla chiamata ad assistere allo spettacolo ha spento i televisori con l’amaro in bocca e la sete di sangue insoddisfatta. E dire che il battage pubblicitario dei giorni precedenti la messa in onda del filmato era stato perfetto. Gli ingredienti per un bel falò di stampo medievale, di quelli riservati alle streghe da parte della Santa Inquisizione (così ci infiliamo dentro pure il contrappasso) c’erano proprio tutti.

Intanto, la firma del video. Quando si dice Bbc, i giornalisti salottieri e gli intellettuali “organici” di casa nostra si inchinano: la verità è assoluta, incontestabile. Con l’immancabile contorno del classico coretto di approvazione: “Ooooooo”. Vuoi non dedicargli allora una serata in televisione? Se poi l’attacco prende di mira il cattolicesimo si è fatto bingo. Di solito quei “cretini” di cattolici (il complimento virgolettato è di Odifreddi, il quale è sia salottiero che organico quindi un vero e proprio campione) non hanno l’abitudine di reagire. Incassano e basta.

Al massimo il capo dei vescovi rilascia qualche dichiarazione ai giornali. Che magari si può anche manipolare e così il grande circo della polemica fondata sul nulla riprende fiato. Ma poi tutto finisce lì. Niente di più. Nessuna fatwa, nessuna condanna a morte come invece è abituato a fare qualcun altro. Insomma, non si rischia un accidente a salire sul carro del “Codice da Vinci” e sfruttarne la scia per fare audience, vendere libri. Il guadagno è assicurato. A prescindere, come diceva Totò.

L’unico pericolo che si corre è giusto quello di rimediare una figuraccia in diretta televisiva, come è appunto accaduto ai pubblici ministeri santoriani nella serata dei preti pedofili. Ma poi la gente dimentica in fretta. Si tireranno fuori altri misteri e tutto passerà in cavalleria. Le scuse dei chierici laicisti per aver sparato troppo in fretta? Ma figuriamoci. Piuttosto arrivederci alla prossima puntata.