20 dicembre 2007

Silvio a Bologna è un messaggio a Pier

Sono bastati due giorni per smentire anche gli scettici più incalliti. Che il rovesciamento del tavolo del centrodestra, ad opera di un Berlusconi tutto proteso a far nascere il nuovo partito del Popolo della Libertà, non avesse alcuna conseguenza sulla scelta del candidato sindaco moderato per Bologna, solo qualche ingenuo poteva pensarlo. Bene. Dopo quello che è successo la settimana scorsa, e nell’arco di sole ventiquattro ore, crediamo che di ingenui in giro non ce ne sia più l’ombra.

Ora è ufficiale: la partita per le amministrative del 2009 è ufficialmente riaperta. L’arrivo di Silvio in piazza Galvani è stato più importante sotto il profilo dell’immagine che sotto quello della sostanza. Fino ad ora dalle parti di Arcore, Bologna è rimasta appaltata a Pier Ferdinando Casini. Era lui ad avere il diritto di fare il bello e il cattivo tempo. Del resto, nel gioco delle alleanze è normale che vada così. Nel 1999, l’individuazione di Giorgio Guazzaloca - esponente civico ma in realtà casiniano doc - era maturata proprio nel rispetto rigoroso del patto che legava a livello nazionale la Casa delle Libertà.

Allora una casa molto solida, anche se il centrodestra era in piena traversata del deserto. Ci sarebbero voluti altri due anni prima di raggiungere l’oasi rinvigorente, con il trionfo nelle elezioni politiche del 2001. Poi cominciarono le follinate. Ma questo è un altro discorso. Oggi, però, quell’alleanza è in frantumi. Berlusconi sta cambiando di nuovo faccia al centrodestra. E lo fa puntando decisamente ad allargare i confini della sua disciolta (o quasi) Forza Italia. Ed allargare i confini vuol dire guardare agli elettori dell’Udc, di Alleanza nazionale, ai delusi, a chi non ha mai fatto politica e magari anche a qualche simpatizzante di sinistra pentito. Bologna, in sostanza, non è più esclusiva riserva di caccia di qualcuno.

Ecco, il comizio dell’ex presidente del Consiglio (pare deciso dalla sera alla mattina) voleva mandare esattamente questo messaggio: caro Casini, il Popolo della Libertà può avere - e ha - radici solide anche sotto le Due Torri. D’ora in avanti non puoi più pensare di giocare da solo.

Pier ci ha riflettuto una giornata e alla fine ha rilasciato una dichiarazione mai udita prima, a suo modo storica: “Se ci sono altri candidati per Palazzo d’Accursio, a parte Guazzaloca – ha detto -, è il momento che si facciano avanti”. Da ricordare che fino a quel momento l’Udc aveva puntualmente fatto un solo nome, e uno soltanto: appunto quello del Guazza, senza il quale non poteva che esserci una sconfitta sicura. Che la sortita di Casini voglia dire reale cambiamento di posizione, e dunque si ritenga sul serio l’ex sindaco non più in grado di andare oltre la somma dei partiti del centrodestra, c’è un solo modo per saperlo: l’esplicito rifiuto a correre da parte di re Giorgio. Cosa che ha immediatamente chiesto il coordinatore regionale di An, Filippo Berselli.

A questo punto vengono in ballo gli interessi della città, e dunque dei bolognesi. Le nebbie vanno diradate il prima possibile. Perché le favorevoli condizioni del 1999 non si ripresenteranno e pertanto i voti andranno guadagnati uno per uno. Operazione che richiede tempo e organizzazione. Ciò sia che Cofferati si ricandidi (molto difficile), sia che si trasferisca a Roma (probabile).

Guazzaloca ha perso gran parte del suo civismo agli occhi dell’elettorato che decide l’esito delle elezioni, e la sinistra non sbaglierà ad affidarsi a un’altra Silvia Bartolini. Se Casini non è più tanto certo di avere in Guazzaloca un asso in grado di raccogliere i consensi dei moderati e anche andare ben al di là di essi, ha il dovere di chiedergli un passo indietro. Ci sarebbe, infine, l’ultimo problema. Un Berlusconi che decide di muoversi anche a Bologna implica un partito forte, organizzato e coeso. Oggi le sue truppe sotto i portici non hanno nulla di tutto questo. Purtroppo.

Graziano Girotti
L'opinione, 20 dicembre 2007

12 dicembre 2007

Processo a Darwin


Dagli Stati Uniti all’Europa, le critiche all’evoluzionismo stanno suscitando un crescente interesse intellettuale. Ne è prova il brillante libro del giornalista e saggista Marco Respinti, Processo a Darwin. Un’inchiesta a tutto campo sul darwinismo per smascherare incongruenze, falsità e luoghi comuni (Piemme, pp. 192, € 12,00). Nella sua requisitoria Respinti si attiene rigorosamente ai fatti comprovati e alle risultanze scientifiche. Le uniche prove ammesse, pro o contro la teoria di Darwin, sono quelle che scaturiscono dal metodo empirico canonizzato fin dai tempi di Galileo, secondo cui la scienza, per essere tale, deve essere strettamente legata all’osservazione diretta dei fenomeni e alla ripetibilità degli esperimenti.


Una volta eliminate tutte le sovrastrutture ideologiche e filosofiche, sostiene Respinti, le certezze scientifiche del darwinismo risultano molto scarse e di dubbio valore. Nessuno, in laboratorio e tantomeno in natura, ha mai osservato direttamente le modalità con cui il caso, la selezione naturale o i condizionamenti ambientali abbiano dato origine alla vita o abbiano prodotto la macroevoluzione, cioè la trasformazione di una specie in un’altra. Se vogliamo rimanere ai fenomeni osservati, l’abiogenesi (lo sviluppo della vita dalla materia inorganica, come postula l’evoluzionismo) è stata confutata dagli esperimenti di Lazzaro Spallanzani e, in maniera definitiva, di Louis Pasteur. L’unica cosa che si può constatare empiricamente è la microevoluzione, cioè quel cambiamento limitato dei viventi, all’interno di una stessa specie, di cui le regole della genetica mendeliana mostrano il funzionamento regolare e ordinato, e non certo casuale.


Il campo dove si gioca la partita decisiva è probabilmente quello della paleontologia. Se la teoria di Darwin fosse corretta, la terra dovrebbe essere stracolma di reperti fossili appartenenti a un numero incalcolabile di organismi intermedi tra una specie e l’altra. Tuttavia dopo 150 anni di ricerche non solo non sono stati ritrovati gli anelli intermedi tra una specie e l’altra, ma dai ritrovamenti fossili risulta, al contrario, che le specie viventi siano apparse più o meno simultaneamente, già perfettamente formate, nella grande esplosione di vita del Cambriano, circa 540 milioni di anni fa. Tutte le supposte scoperte di forme transizionali intermedie (come l’Uomo di Piltdown, l’archaeopterix o l’archaeoraptor) si sono rivelate ad un più attento esame degli errori di valutazione, se non dei veri e propri falsi costruiti ad arte. Occorre dunque ammettere che, allo stato attuale, i fossili non si accordano con l’ipotesi evoluzionista.


Respinti nota un fatto curioso: un abate (Gregor Mendel) ha dimostrato l’infondatezza della casualità nella trasmissione dei caratteri ereditari; un altro abate (Lazzaro Spallanzani) ha demolito per primo l’ipotesi della “generazione spontanea” della vita; un medico profondamente cattolico (Louis Pasteur) ha smascherato la farsa dell’abiogenesi. I più cristallini e onesti indagatori del reale attraverso i canoni del metodo scientifico galileiano sono quindi tutti uomini di gran fede religiosa, mentre dalla parte dei darwinisti abbondano gli ideologi pressappochisti e talvolta anche i veri e propri truffatori, come il falsificatore Ernst Haeckel, lo scienziato stalinista Trofim Lysenko o, ai nostri giorni, l’antropologo tedesco Reiner Protsch von Zieten, che per trent’anni ha manipolato i dati a nostra disposizione sull’uomo di Neandhertal.


Respinti dedica poi uno dei capitoli finali alla teoria del disegno intelligente (meglio dovrebbe dirsi “progetto intelligente”), che nell’ultimo decennio si è proposta come seria alternativa scientifica al paradigma darwiniano. La controversia innescata dall’Intelligent Design sembra avere tutte le caratteristiche delle maggiori rivoluzioni scientifiche del passato. I sostenitori del darwinismo appaiono sulla difensiva, e il loro tentativo di rifiutare o di censurare il dibattito, anche ricorrendo alla via giudiziaria, è il segno più evidente delle loro difficoltà.


Per lungo tempo l’establishment scientifico ha cercato di convincere il pubblico che l’unica opposizione all’evoluzionismo proviene dai creazionisti biblici. Il disegno intelligente, tuttavia, è una teoria nata nei laboratori scientifici e nelle università, non tra i fondamentalisti protestanti della Bible Belt, e la sua popolarità si sta estendendo anche fuori dagli Stati Uniti: nell’agosto del 2005 settecento scienziati provenienti da diciotto paesi diversi si sono riuniti a Praga per una conferenza su “Darwin e il progetto”; nello stesso anno, un articolo uscito su “Le Monde” ha rivelato la crescente influenza della teoria del disegno intelligente sugli studenti francesi.


Il fatto sociologico più significativo è proprio il forte fascino che questa teoria esercita sui giovani che hanno il coraggio di mettere in questione l’ortodossia e di seguire i risultati della ricerca ovunque li portino. Saranno loro a decidere l’esito del dibattito.


(Guglielmo Piombini)

06 dicembre 2007

Stanno massacrando l'accordo del 23 luglio

“Il collegato alla Finanziaria massacra l’accordo sul welfare del 23 luglio”. Non usa perifrasi Alessandra Servidori, tra gli autori del libro “Giù le mani dalla Legge Biagi”, per commentare quanto sta accadendo all’interno della maggioranza di governo in materia di lavoro. L’occasione è stata un convegno organizzato a Loiano, sull’Appennino bolognese, da Ubaldo Salomoni, consigliere regionale e coordinatore in Emilia-Romagna dei Gruppi della Libertà.

“Il professor Marco Biagi – è stato il messaggio introduttivo di Salomoni – ha dimostrato con il Libro Bianco un autentico spirito riformista, tutto proteso alla difesa dei giovani e dei non garantiti. La sua legge 30 ne è la prova inconfutabile”. Dopo gli interventi di tre sindaci, il padrone di casa Giovanni Maestrami, Marino Lorenzini (Monghidoro) e Giuseppe Venturi (Monterenzio), la palla è passata a colei che di Biagi è stata amica e collega di lavoro per decenni.

Allora, Servidori, perché sarebbe stato tradito il tentativo imbastito con l’accordo del 23 luglio?
"Perché nel collegato alla Finanziaria, come dicevo, scompaiono alcune figure contrattuali che sarebbero molto utili a determinati comparti. Penso allo staff leasing o al job on call. Nel turismo, per esempio, esistono mesi in cui c’è bisogno di personale e altri mesi dove questa esigenza diminuisce fino a scomparire. Se non si regolamenta, si fa vincere il sommerso e dunque il lavoro irregolare. Inoltre non dimentico le riforme degli ammortizzatori sociali e della contrattazione, che vengono lasciate a un impegno delle parti sociali ben poco sostanziale sotto il profilo dei tempi".

Ecco perché è molto critica.
"Esatto. Siamo di fronte a una vera e propria abiura. Viviamo in uno stato di incertezza. L’accordo dell’estate scorsa poteva e doveva continuare lungo il percorso tracciato dal Pacchetto Treu prima e dalla Legge Biagi poi. In pratica, poteva tradursi nella sconfessione della sinistra radicale. Mi pare che l’opportunità si stia perdendo".

Insomma, Prodi non ce la fa a staccarsi dall’ala antagonista della sua maggioranza?
In realtà, non ci ha mai nemmeno provato. Sa bene che la sua salvezza sta proprio nell’estrema sinistra, che gli consentirà di arrivare al 2009 garantendo la pensione ai parlamentari.

Da cosa nasce l’odio ideologico e viscerale degli ultimi anni verso la Legge Biagi, a suo parere?
"Da una sorta di vendetta nei confronti dell’esigenza riformista di Marco. In questo la Cgil è stata connivente. Non dimentichiamoci il dito puntato del leader sindacale Sergio Cofferati proprio contro il Libro Bianco, con il quale si intendeva individuare riforme ben precise. Già con il Pacchetto Treu la sinistra aveva dovuto subire l’introduzione di tipologie contrattuali come quella del cococo. E dunque non aveva nessuna intenzione di lasciar mettere le mani sulla materia del licenziamento e sul celebre articolo 18. In Europa le protezioni sono molto inferiori a quelle previste nel nostro Paese, e soprattutto sono legate a strumenti di accompagnamento al lavoro che il disoccupato è costretto ad accettare. In Italia, invece, resistono ancora i due anni di cassa integrazione che finiscono per favorire l’assegno di disoccupazione e il lavoro nero. Tutto questo apparteneva a una vecchia idea di welfare. Le forze sindacali hanno dimostrato di essere incapaci a governare il cambiamento".

Il professor Cazzola ha parlato proprio su queste colonne di sinistra reazionaria…
"Direi piuttosto conservatrice. La base elettorale della sinistra è costituita da pensionati e pubblico impiego. Con il popolo delle partite iva non riesce a sfondare perché non ha uno straccio di idea di sistema Paese. I sindacati non hanno cultura riformista ma solo protezionista. E’ il loro male oscuro".

Ha appena ricordato le accuse di Cofferati contro Biagi. Da lui si sarebbe aspettata alcune parole chiarificatrici in questi suoi anni “bolognesi”?
"Cofferati è troppo presuntuoso e arrogante. Sa di avere usato parole che hanno condannato Marco. E spesso con le parole si arma la mano di chi spara".

Graziano Girotti
(L'opinione, 6 dicembre 2007)

03 dicembre 2007

La manovra a tenaglia per fermare Silvio

Con la sinistra governativa allo sfascio e quella partitica che a fatica intravede un futuro, ecco ridiscendere in campo il “democratico” braccio giudiziario e giornalistico. C’è da distrarre l’opinione pubblica disfatta dalle tasse e da una situazione economica che resta sul brutto stabile. Peraltro un Berlusconi stile-’93, che rimescola le carte con coraggio e lungimiranza, aumenta in modo esponenziale il rischio che i moderati si riprendano l’Italia e magari provino pure, questa volta con successo, a tradurre in pratica quella rivoluzione liberale che resta l’unica strada possibile per salvare il Paese da un declino che ora sembra inarrestabile.

Insomma, c’è molto lavoro “sporco” da fare. E allora ecco muoversi in pompa magna chi quel lavoro per la sinistra ha sempre compiuto con dedizione e costrutto. Prima ci ha pensato l’armata Repubblica-na, che ha gridato uno scoop totalmente inesistente: ai tempi del secondo governo Berlusconi, i dirigenti Rai e Mediaset si rifugiavano in bagno e da lì, al riparo da orecchi indiscreti, partivano teleconferenze per favorire il network privato rispetto a quello pubblico. Ovviamente a tirare i fili era Silvio il quale, fregandosene delle cose di governo, pensava a ingrassare i suoi bilanci.

Il direttore Ezio Mauro, all’operazione, è riuscito persino ad appioppare un nome che sa di trame segrete, logge massoniche, torbido, fango. Delta, l’ha chiamata. Il ragazzo ci sa fare, è indubbio. Peccato che dopo solo alcuni giorni dall’esplosione del caso, il Corriere della Sera intervisti l’ex direttore generale della Rai, Pierluigi Celli. Il quale non ci pensa due volte a togliere le brache all’erede del Fondatore e a lasciarlo alla mercè delle risate di quei pochi lettori che si accorgono dell’articolo. “Ma le telefonate ci sono sempre state!” ha sostanzialmente dichiarato. “Era ed è normale che i vertici di due aziende concorrenti si confrontino”. La rivelazione resta confinata nelle pagine interne e passa sotto silenzio. Talmente sotto silenzio che è di poche ore fa la notizia della sospensione dalla Rai della sua direttrice marketing, colei che viene ritenuta la materiale esecutrice dei voleri di Silvio. E per lei l’odissea, ne siamo sicuri, è appena agli inizi.

Poi c’è l’altro versante, quello giudiziario. L’obiettivo prescelto è stato il sindaco di Milano, Letizia Moratti, coinvolta in una inchiesta su presunti incarichi d’oro. Primo cittadino stimato, donna, personaggio di sicuro avvenire nel Partito della libertà, la Moratti rappresenta un bersaglio a dir poco interessante. “Le recenti polemiche rispetto ad incarichi profumatamente retribuiti, soprattutto quando provenienti da sinistra – ha commentato il capogruppo di Forza Italia alla provincia meneghina, Bruno Dapei – ci avevano fin qui fatto sorridere al pensiero di quanto, a riguardo, abbiamo visto accadere a Palazzo Isimbardi (sede del consiglio provinciale) e nelle società partecipate e controllate dalla Provincia. Dal piano politico, la vicenda ora sembra spostarsi su quello giudiziario. Déjà vu”. Sì, un film visto e rivisto, che ora però va assolutamente replicato. C’è da fermare Silvio. Ed è scattata la manovra a tenaglia.

Graziano Girotti
(L'Opinione, 1 dicembre 2007)