I ricercatori del Berlin Institute for Population and Development hanno realizzato, in collaborazione con la rivista naturalistica Geo, un importante studio di 368 pagine sulle prospettive demografiche dell’Europa, intitolato Europe’s Demographic Future. Growing Imbalances (“Il futuro demografico dell’Europa. Squilibri crescenti”). Sul sito dell’istituto è disponibile una sintesi in inglese in 16 pagine, che anticipa i punti più rilevanti dell’indagine.
I bassi tassi di fertilità, l’invecchiamento delle popolazioni e il crescente numero di immigrati provenienti da altre regioni del mondo sono i fattori che, secondo i ricercatori tedeschi, cambieranno il volto dell’Europa nel corso dei prossimi decenni. Questi processi toccheranno il loro zenith fra 30 o 40 anni, e la loro inversione sembra per ora improbabile.
In realtà l’invecchiamento e la riduzione della natalità sono un fenomeno globale, ma gli effetti si faranno sentire prima nelle zone geografiche che hanno fatto da apripista, l’Europa e la Russia, dove queste tendenze sono in corso da decenni. In tutte le altre aree del mondo gli attuali tassi di natalità, sebbene calanti, garantiranno infatti un aumento della popolazione da qui alla metà del secolo.
Il rapporto dell’istituto berlinese prevede che, nel periodo 2007-2050, gli abitanti degli Stati Uniti e del Canada cresceranno del 30,7 %, da 335 a 438 milioni; quelli dell’America Latina e dei Caraibi aumenteranno del 37,6 %, passando da 569 a 783 milioni; gli abitanti dell’Asia passeranno da 4 miliardi a 5 miliardi e duecentomila, con un aumento del 30,1 %; l’Africa vedrà addirittura più che raddoppiare la propria popolazione, da 944 milioni a 1.937 milioni, con una crescita del 105,2 %. Per contro, l’Europa del 2050 avrà l’8,3 % di abitanti in meno rispetto ad oggi, calando da 591 a 542 milioni; nella Russia la riduzione sarà ancor più marcata, dato che gli abitanti scenderanno da 142 a 112 milioni, con una differenza negativa del 21,1 %.
Attualmente nessun paese europeo arriva al tasso naturale di sostituzione della popolazione di 2,1 figli per donna, che serve a mantenere stabile la popolazione nel tempo. La media europea è di 1,5 figli per donna, e questo significa che ogni nuova generazione si riduce del 25 % rispetto a quella precedente. Se a questo dato si aggiunge quello dell’invecchiamento, che vede da qui al 2050 un aumento degli ultrasessantacinquenni dal 16 % al 28 % del totale, con un innalzamento dell’età media di quasi 10 anni (da 39 a 47 anni), le prospettive dell’Europa si fanno drammatiche. Il numero calante delle persone in età lavorativa, combinato con l’aumento delle spese pensionistiche e sanitarie destinate alla crescente popolazione anziana, renderà sempre più difficile all’Europa competere con le altre regioni del mondo.
Il rapporto, che valuta la sostenibilità demografica di 285 regioni d’Europa sulla base di 24 indicatori demografici, economici, sociali e ambientali, osserva che i tassi di fertilità sono distribuiti in maniera piuttosto diseguale all’interno del continente. Si va infatti dai quasi 2 figli per donna dell’Islanda, dell’Irlanda e della Francia agli 1,2 figli per donna delle regioni più depresse dell’Europa dell’est, della Spagna del nord o dell’Italia del sud, nelle quali, afferma il direttore dell’istituto Reiner Klingholz, sarà impossibile impedire il completo spopolamento di molti centri rurali, dove i lupi e le foreste stanno già facendo ritorno.
La ricerca presenta dunque una diagnosi molto realistica sulla grave situazione demografica del vecchio continente, e riconosce l’esistenza di una crisi dovuta al calo e all’invecchiamento della popolazione. Ma quali ne sono le cause, e quali rimedi vengono proposti? Nello sforzo di non contraddire l’ortodossia progressista dominante, le risposte degli esperti di popolazione del Berlin Institute appaiono eccessivamente condizionate dal “politicamente corretto”. Lo studio propone, in sostanza, di far fronte alla crisi demografica incoraggiando da un lato l’immigrazione, e dall’altro una maggiore “eguaglianza di genere” nel mondo del lavoro: «L’immigrazione è necessaria, e non c’è alternativa», afferma Reiner Klingholz, portando come esempi positivi l’Irlanda e la Gran Bretagna.
C’è qualcosa di paradossale nell’idea che solo l’immigrazione di massa possa tenere in piedi l’economia dell’Europa, perché proviene da quello stesso campo progressista che, fino a qualche tempo fa, si batteva per il controllo delle nascite e in favore di politiche denataliste con il pretesto che eravamo già in troppi. Oggi si sono accorti che il calo delle nascite ha provocato dei vuoti paurosi nell’economia, e tentano di rimediare ripopolando freneticamente il vecchio continente con popolazioni aventi culture aliene, e talvolta apertamente ostili, a quelle dei paesi ospitanti.
I curatori del rapporto, inoltre, si rifiutano di mettere in correlazione la crisi demografica dell’Europa con la distruzione dell’istituto familiare avvenuto dal Sessantotto in poi. «Non ha assolutamente senso demografico - affermano i ricercatori - riproporre le strutture della famiglia tradizionale. Al contrario, più uguaglianza viene offerta agli uomini e alle donne sul posto di lavoro, più figli nascono. Oltre la metà dei bambini nati in Svezia, Norvegia e Francia, tutti e tre paesi con alti tassi di natalità, nascono fuori dal matrimonio. In Islanda questa percentuale arriva al 65 %. I tassi di natalità declinanti degli ultimi decenni sono strettamente collegati al cambiamento del ruolo della donna nella società, perché a partire dagli anni Sessanta le donne hanno avuto uguali possibilità di accesso all’istruzione. Queste donne oggi sono interessate alla carriera e allo stipendio, e hanno un numero apprezzabile di figli solo nei paesi che permettono a entrambi i genitori di conciliare lavoro e famiglia».
Viene dunque esaltato un modello sociale e familiare, basato sul sostegno statale ai genitori che lavorano (sotto forma di asili nido, scuole, sussidi), e sull’equiparazione fra tutti i tipi di unione (matrimoniali e non), che in realtà non ha prodotto gli effetti voluti: in Svezia il tasso di natalità è in calo continuo dagli anni Novanta, mentre in Francia e in Gran Bretagna il tasso di natalità superiore alla media europea sembra dovuto in larga misura all’alta fertilità della vasta comunità musulmana. Un modello, quello nordico, che ha finito per generare altri problemi sociali, perché gran parte dei bambini privi di una famiglia stabile sono più insicuri e depressi, registrano maggiori difficoltà a scuola e, una volta cresciuti, cadono più facilmente nell’alcolismo e nella delinquenza.
Se in futuro l’Europa conoscerà una nuova primavera demografica non sarà certo per via di qualche alchimia politico-sociale studiata a tavolino dai politici o dagli esperti, ma grazie a una nuova rivoluzione culturale che metta al centro la vita, la famiglia e i figli.
(Guglielmo Piombini, Svipop)
26 settembre 2008
17 settembre 2008
Preferenze, battaglia sacrosanta
A Bologna, l’Udc è andata in piazza per raccogliere firme a favore della reintroduzione delle preferenze. Vale a dire l’opportunità per i cittadini di mandare in Parlamento i rappresentanti che ritengono migliori, senza essere costretti ad accettare la lista imposta dalle segreterie romane. Si tratta di una battaglia liberale e popolare, che salutiamo con soddisfazione. Soprattutto si tratta di una battaglia a favore del merito. Al di là delle chiacchiere restiamo convinti che debba essere spedito a Roma chi è più radicato sul territorio, chi fa politica sul serio, chi ha voglia di mettersi in gioco perché sa che ha qualcosa da dire. Insomma: merita la promozione chi ha voglia di lavorare e non punta esclusivamente sull’amicizia con questo o quel leader. I cortigiani non ci sono mai piaciuti e continuano a non piacerci.
La preferenza riavvicina la gente comune al governo della cosa pubblica perché costringe l’esponente politico a non abbandonare il proprio elettorato Per di più innescando una concorrenza salutare tra i candidati in lizza. I quali saranno indotti a non dimenticare il loro legame col territorio dal quale provengono una volta eletti, battendosi per esigenze realmente sentite.
E se alla successiva tornata elettorale i cittadini riterranno che i “loro” politici non abbiano lavorato bene, ne sceglieranno altri. Liberamente. Questa è democrazia. Il “padrone” del politico eletto, dunque, non è più il capo del partito cui egli appartiene, bensì i suoi elettori. Con le preferenze si rovescia completamente il rapporto tra cittadini e formazioni politiche, facendo pendere l’ago della bilancia sui primi e non sulle sovrastrutture delle seconde.
Qualche anno fa, quando esplose il fenomeno-Berlusconi, per anni si è parlato di rivoluzione liberale in arrivo. La reintroduzione delle preferenze sarebbe un tassello importante per far sì che questa rivoluzione possa tornare nel dibattito politico in veste di prospettiva seria e soprattutto realizzabile. Concorrenza, merito, democrazia, libertà e aggiungiamoci responsabilità: tutti valori che sono connaturati a una destra moderna, che guarda al futuro consapevole della propria forza. E allora perché si è mossa solo l’Udc?
La preferenza riavvicina la gente comune al governo della cosa pubblica perché costringe l’esponente politico a non abbandonare il proprio elettorato Per di più innescando una concorrenza salutare tra i candidati in lizza. I quali saranno indotti a non dimenticare il loro legame col territorio dal quale provengono una volta eletti, battendosi per esigenze realmente sentite.
E se alla successiva tornata elettorale i cittadini riterranno che i “loro” politici non abbiano lavorato bene, ne sceglieranno altri. Liberamente. Questa è democrazia. Il “padrone” del politico eletto, dunque, non è più il capo del partito cui egli appartiene, bensì i suoi elettori. Con le preferenze si rovescia completamente il rapporto tra cittadini e formazioni politiche, facendo pendere l’ago della bilancia sui primi e non sulle sovrastrutture delle seconde.
Qualche anno fa, quando esplose il fenomeno-Berlusconi, per anni si è parlato di rivoluzione liberale in arrivo. La reintroduzione delle preferenze sarebbe un tassello importante per far sì che questa rivoluzione possa tornare nel dibattito politico in veste di prospettiva seria e soprattutto realizzabile. Concorrenza, merito, democrazia, libertà e aggiungiamoci responsabilità: tutti valori che sono connaturati a una destra moderna, che guarda al futuro consapevole della propria forza. E allora perché si è mossa solo l’Udc?
10 settembre 2008
Il libro dell'orgoglio occidentale

La civiltà occidentale soffre di una grave crisi d’identità ed è attaccata da pericolosi nemici interni ed esterni, ma per fortuna ha ancora dei difensori di valore, come Anthony Esolen, professore di letteratura inglese all’università statunitense di Providence e rinomato traduttore di importanti opere letterarie occidentali, tra cui La Divina Commedia di Dante Alighieri. La sua The Politically Incorrect Guide to Western Civilization, recentemente pubblicata dalla casa editrice Regnery di Washington, rappresenta un’efficace risposta al multiculturalismo e a tutte le ideologie anti-occidentali che dal Sessantotto in poi hanno conquistato l’egemonia nelle scuole e nelle accademie americane ed europee.
Anthony Esolen, che è di religione cattolica, accusa la dominante correttezza politica di essere un tentativo, neanche tanto mascherato, di demolire le fondamenta su cui è stata costruita la cultura europea e americana. Tutto ciò che i progressisti odiano di più (il cristianesimo, il giudaismo, la moralità tradizionale, la famiglia monogamica, il capitalismo, la proprietà privata) si può infatti riassumere in due parole: civiltà occidentale.
Per contrastare questo programma distruttivo Esolen vuole restituire agli uomini e alle donne occidentali l’orgoglio per la propria civiltà. L’Occidente, non dimentichiamolo, è l’invidia del pianeta. Ogni giorno milioni di persone provenienti da ogni angolo della terra dimostrano con le loro azioni di essere disposte a tutto pur di raggiungere le nostre società, e questo vale anche per quelle popolazioni musulmane che a parole ostentano odio e disprezzo nei nostri confronti.
Fuori dall’Occidente e dalle aree influenzate dalla cultura occidentale la vita è ancora pericolosa, brutale e breve. Solo nella cultura occidentale, infatti, è emersa un’idea universale dei diritti umani. Questa nozione, radicata nella concezione giudaico-cristiana della dignità della persona fatta ad immagine del Dio creatore, ha permesso la nascita di istituzioni politiche più liberali e rispettose dell’individuo, che altrove stentano ad attecchire.
Non bisogna avere il timore di ricordare che è dall’Occidente quotidianamente insultato da marxisti, multiculturalisti e islamisti che proviene la quasi totalità delle creazioni intellettuali, artistiche, scientifiche e tecnologiche di cui oggi gode l’umanità. Miliardi di persone che vivono nel resto del mondo non sarebbero mai nate né sopravvissute senza i progressi morali, tecnici, alimentari e medici portati ovunque dagli europei. L’idea vittoriana del fardello dell’uomo bianco, oggi derisa, contiene dunque un profondo nucleo di verità.
Nel suo libro Esolen ripercorre la storia della cultura occidentale esaltando la grandezza dell’antica Grecia, dell’antica Roma e del Medioevo. La diffusione del relativismo morale segnò il declino di Atene e dell’impero romano. La burocratizzazione, l’elevata tassazione e la depravazione morale minarono infatti l’istituzione famigliare su cui Roma aveva costruito la propria forza. Dall’incoronazione di Ottone al sacro Romano Impero nel 962 alla morte di Dante nel 1321, scrive Esolen, l’Europa conobbe invece una delle massime fioriture culturali della storia umana, e anche le glorie del Rinascimento furono principalmente frutto del Medioevo e della cultura cristiana.
L’epoca moderna segna però l’inizio della crisi della Cristianità. Dall’Illuminismo in poi la cultura occidentale divorzia dai suoi fondamenti religiosi e metafisici, e vede proliferare nel suo seno una gran quantità di ideologi fanatici, di scienziati ciarlatani, di intellettuali farneticanti. L’inaudita violenza degli ultimi secoli, che raggiunge il suo culmine nel Novecento, è secondo Esolen il prodotto delle idee di questi cattivi maestri, che hanno incoraggiato da un lato la crescita inarrestabile dello Stato, e dall’altro l’eliminazione dell’influenza della Chiesa dalla vita sociale. I pochi che intuirono come sarebbe andato a finire questo perverso progetto della modernità, e che continuarono a difendere la dignità umana (ad esempio Edmund Burke, Gilbert K. Chesterton, T. S. Eliot, Russell Kirk, Friedrich von Hayek o Aleksandr Solzenicyn), furono sprezzantemente bollati come “conservatori”.
Se gli europei continueranno sulla via del secolarismo radicale, e se gli americani li seguiranno a ruota, conclude Esolen, alla fine non troveranno una nuova età della ragione, ma qualcosa di già visto: altri Lenin, altri Stalin, o persino altri Maometto: «Per quelli di noi che amano l’Occidente la battaglia può sembrare scoraggiante. I nostri avversari hanno dalla loro parte i principali mezzi d’informazione, le università, il potere politico e molto più denaro. Per fortuna dalla nostra parte abbiamo millenni di storia e qualche fuoriclasse che risponde al nome di Aristotele, Sant’Agostino, Burke o Eliot».
Le cattive idee che oggi vengono propagandate come rivoluzionarie e illuminate non sono per nulla nuove; le grandi menti dell’Occidente hanno combattuto il relativismo, l’ateismo, il materialismo e la statolatria per millenni. Le loro grandi idee sono ancora in grado di prevalere contro tutte le elucubrazioni degli pseudo-intellettuali progressisti.
Guglielmo Piombini
(Il Domenicale, 7 settembre 2008)
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