24 marzo 2009

Cofferati e lo psicodramma della sinistra

Il centrosinistra bolognese sprofonda in pieno psicodramma, talmente surreale che sembra la trama di un film noir. Sergio Cofferati, uno che le critiche difficilmente riesce a sopportarle, specialmente quando arrivano dagli amici, è entrato a piedi uniti nella campagna elettorale. Dopo gli attacchi – peraltro neppure troppo pesanti - che gli aveva rivolto Flavio Delbono solo il giorno prima attraverso il quotidiano di riferimento, il sindaco ha deciso di rispondere da par suo. Il risultato è che l’ex vicepresidente della Regione ora giace ai bordi del campo della metaforica competizione per Palazzo d’Accursio con gambe e caviglie indolenzite, amorevolmente curato dal segretario provinciale del Pd Andrea De Maria.

Manca un programma, manca una coalizione, manca un programma della coalizione. Questo il vestito nuovo che il sarto Coffy ha confezionato per il candidato senza simbolo. Accuse che ben difficilmente possono essere smentite e che hanno il sapore della bocciatura definitiva. Ma la notizia non è neppure questa, anche se il materiale sarebbe sufficiente addirittura per la fluviale predica domenicale di Eugenio Scalfari, sempre sul quotidiano di riferimento. La notizia è un’altra, ed è che il primo sostenitore di Flavio Delbono si chiamava proprio Sergio Cofferati. Attenzione: non è un omonimo di quello che qualche ora fa gli ha fracassato gli stinchi meglio di quanto avrebbe potuto fare Ringhio Gattuso. No, sono la stessa persona.

Per questo parliamo di psicodramma. A sinistra e nel centrosinistra non sanno più che pesci pigliare. Se è il tuo stesso primo cittadino a ritenere che il tuo candidato a sostituirlo giudica quest’ultimo una nullità politica, resta il lettino dello psichiatra. Bocciando Delbono, Cofferati boccia se stesso e si spedisce direttamente dietro la lavagna con il cappello da asino ben calzato sulla testa. In questo modo accende i riflettori sul fallimento suo e soprattutto sull’incapacità del centrosinistra di guadagnare credibilità agli occhi dei bolognesi.

L’entrata assassina di Cofferati si ripercuote anche su tutto il centrodestra, caricandolo di una responsabilità ancora maggiore in termini di affidabilità di programmi, di alleanze e di governo. Ne saprà approfittare?

20 marzo 2009

Le balle di Michele Serra

Abbiamo una notizia: da ieri Michele Serra, noto polemista di Repubblica, è entrato nella campagna elettorale di Bologna. Ne abbiamo avuto la conferma quando ci siamo imbattuti nella sua rubrica “L’amaca”, il pensierino quotidiano graffiante e sarcastico che dispensa ai suoi lettori. Che peraltro gradiscono. L’altro ieri Serra ha preso di mira la vicenda del check up medico dei candidati alla carica di sindaco che tanto scalpore (a scoppio ritardato) ha suscitato in città. “La contesa (elettorale ndr) – scriveva – è approdata sui giornali nazionali per il colpo basso anzi bassissimo inferto a Giorgio Guazzaloca, felicemente guarito da un tumore: un suo avversario di centrodestra (nemico interno, i peggiori) ha chiesto di sottoporre tutti i candidati a visita medica, per vedere chi è più arzillo e magari chi ce l’ha più lungo”.

Ohibò, a questo punto della lettura siamo stati assaliti da dubbi esistenziali. Eravamo convinti che tutta la stampa locale avesse raccontato la vicenda per come era effettivamente andata. Vale a dire un medico, in passato sostenitore di Delbono e attuale presidente del sindacato della ambulatorietà privata, aveva avuto l’idea e l’aveva lanciata, scatenando il putiferio. Invece no: Serra dimostrava come sempre di possedere una marcia in più e di essere lui il vero custode della verità. Tutto un complotto ordito nelle oscure stanze di quegli oscurantisti di filo-berlusconiani, insomma.

Rosi dall’invidia e richiuso il quotidiano, ci siamo messi a riflettere sulla nostra condizione di giornalisti incapaci di andare al di là delle nostre convinzioni politiche, che puntualmente inquinano i nostri articoli. Stavamo per essere vinti da queste frustranti considerazioni che abbiamo voluto riprendere in mano l’intervista concessa dal medico a un quotidiano locale, dove Antonio Monti (questo il suo nome) ammetteva di aver appoggiato il candidato senza simbolo. E tra le mani ci sono di nuovo capitati i ritagli di stampa dove venivano riportate le voci fatte correre dai sostenitori di un altro candidato di sinistra, Gianfranco Pasquino, secondo le quali lo stesso Monti aveva finanziato la campagna elettorale di Delbono. Voci liquidate dal medico come “idiozie”. Oppure, ancora, quegli articoli dove si mettevano nero su bianco prima l’adesione entusiastica di Delbono al check up e dopo qualche ora la retromarcia dell’ex vicepresidente della Regione. “Avevo capito che era un mezzo scherzo”.

Tutto questo per Serra non era accaduto: al contrario, si è trattato di banale e scontata guerra interna al centrodestra. Delbono immacolato, Pasquino intoccato, Monti l’agnello sacrificale. E così il cerchio (della disinformazione) si è chiuso. Proponiamo Michele Serra assessore alla Cultura del Comune. Di Delbono o di Pasquino, non fa differenza. Post-scriptum: alla fine di queste righe pensiamo di aver brillantemente superato le nostre frustrazioni. “E’ la campagna elettorale, bellezza”.

17 marzo 2009

Bologna, il procuratore colpisce ancora

Ormai è chiaro qual è il difetto principale di Silverio Piro, procuratore reggente a Bologna: non sapere resistere alle sirene dei giornalisti. Di fronte all’opportunità di una comparsata su qualche quotidiano locale, il magistrato non ci vede più e apre la bocca. Cominciando a dichiarare, su tutto e di più. Anche a costo di fomentare polemiche e far sorgere sospetti che per lui l’agone politico non è quel luogo da cui ogni magistrato si dovrebbe tenere a distanza di sicurezza. Giusto per non far temere di essere uomo di parte. Al contrario, lui nell’agone ci si tuffa con gusto. Con il rischio di rompersi la testa. Ma questo è il destino di chi va per sentieri che non conosce.

L’altro giorno si è concesso l’ennesima scorribanda mediatica. In poche ore prima è intervenuto sulle ronde decise dal governo e subito dopo ha applaudito (a modo suo, s’intende) alla decisione del Tribunale di infliggere solo sei anni di carcere allo stupratore di una quindicenne. In entrambi i casi è riuscito in una impresa per la quale ci sentiamo di ringraziarlo sentitamente. Perché ci ha fatto tornare alla mente quale dovrebbe essere il pregio principale di un magistrato: il riserbo, il silenzio, il lavoro duro ed efficace nell’ombra. Materie che Piro non riesce a maneggiare con cura. Con grande gaudio dei mass-media, va da sé.

Insomma le ronde le ha definite “inquietanti”, uno di quegli aggettivi cui ricorrono i politici di professione (appunto) per squalificare al massimo grado i comportamenti dei loro avversari, soprattutto quando non si hanno argomenti sostanziali. Rivelando di non aver riflettuto sul provvedimento del governo con mente sufficientemente libera da scorie ideologiche. “Inquietante” richiama l’oscurantismo più impenetrabile, il mistero che nasconde minacce inconfessabili. Basta la parola per gettare discredito verso chi o cosa la si rivolge.

Non contento della prima performance, Piro se ne è concessa una seconda. Altrettanto ardita. Commentando la sentenza del Tribunale ricordata poc’anzi, e sottolineato che la condivideva in pieno, ha tenuto a precisare che la leggerezza della pena era giustificata anche dall’età della vittima: “Non è una bambina”, avrebbe dichiarato. Quando abbiamo letto queste poche parole ci sono corsi non pochi brividi lungo la schiena. E abbiamo avuto la riprova che quella dei magistrati è la casta delle caste, tutta richiusa in se stessa, senza contatti con l’esterno e senza la minima idea dei problemi che attanagliano famiglie e genitori. Magistrati spesso incolori ma con un potere enorme tra le mani. In una parola: inquietanti.

04 marzo 2009

Delbono, Kafka e la campagna elettorale

La campagna elettorale di Flavio Delbono sta diventando interessante
perché lo spettro di Kafka si aggira con sempre maggiore insistenza
dalle sue parti. Dunque possono anche avere contorni divertenti gli
stratagemmi cui deve ricorrere per tentare di uscire da situazioni
paradossali. E la più paradossale di tutte riguarda il traffico.

Siccome sul guazzabuglio del Civis il Partito Democratico rischia di
giocarsi una bella fetta di consensi, e siccome l’assessore al
Traffico del Comune, l’indistruttibile Maurizio Zamboni, non ne vuol
sapere di fermare la macchina come invece vorrebbe Delbono, l’altro
giorno è scattata la reazione indispettita di Claudio Merighi,
portavoce del candidato senza simbolo.

Zamboni deve stare zitto, è stata la sostanza delle parole di Merighi.
Capite, allora, perché l’impresa propagandistica di Delbono diventa
paragonabile a una fatica di Ercole? Da un lato un giorno sì e l’altro
pure non perde occasione di ricordare che “il Civis è opera di
Guazzaloca ma ora fa finta di dimenticarsene”, e dall’altro appena si
distrae di un nanosecondo arriva il siluro dalla giunta Cofferati.
Cofferati, per chi se lo fosse dimenticato, è quel sindaco che ha
detto di appoggiarlo nella sua corsa alla conquista di Palazzo
d’Accursio.

Nelle evidenti difficoltà dell’ex-vicepresidente della Regione affonda
la lama Alberto Vannini, capogruppo de La Tua Bologna in Comune. “Il
povero Delbono – dice - insiste a dire cose in cui non crede nemmeno
lui. Tutti i giorni tira maldestramente in ballo Guazzaloca per avere
un po’ di spazio sui giornali. Purtroppo per lui spesso si fa male da
solo”. Insomma per Vannini Delbono “assomiglia sempre più al suo
mandante politico: il sindaco Cofferati. Ricordate quando Sergio disse
solennemente che avrebbe tenuto per sé la delega dell'assessorato alla
Sicurezza voluto da Guazzaloca? Oggi Delbono dice le stesse cose.
Visti i disastrosi risultati di Cofferati sono certo che i bolognesi
sperano vivamente che Delbono se ne torni nella sua comoda seggiola di
consigliere regionale. Ricca poltrona che non ha mai abbandonato”.

L’altro paradosso del candidato arancione (dal colore dei suoi
manifesti elettorali) è quello di voler accreditare a tutti i costi
l’immagine di illuminato riformista, per poi puntualmente far emergere
un’anima antiberlusconiana a prescindere per compiacere la sinistra
antagonista di cui sta rincorrendo i voti. “Guazzaloca e Cazzola – ha
dichiarato - sono pallidi imitatori del presidente del Consiglio.
Annunci molti, sostanza poca, leggi approssimative a valanga, problemi
risolti nessuno. Puntano solo a farsi eleggere, perché per loro stare
al potere è l'unica legittimazione. Il resto, le idee, i progetti, il
confronto, non gli interessano”. Certo, quando il potere per il potere
viene criticato dal più prodiano dei prodiani qualche domanda
bisognerebbe porsela.