17 aprile 2009

E all'orizzonte rispunta Prodi

Se un tempo Bologna era considerata il laboratorio della sinistra nazionale, dove si scavavano le fondamenta per il futuro, oggi la città si è ridotta a retrobottega. Il ritorno dell’Unione, con tanto di comparsata di Romano Prodi alla convention di Delbono di due giorni fa, dimostra che l’avvenire del Pd bolognese è nascosto nel passato, in esperienze già sperimentate e per la verità fallite. Alla fine il grigio professore mantovano, perfetto per una città ripiegata su se stessa e appunto ingrigita, non ha trovato di meglio che rifare l’antica ammucchiata.

Beninteso, i numeri sono dalla sua parte. Ed eravamo stati facili profeti al momento dell’investitura di Delbono a prevedere l’esito cui si è giunti da poche ore. Bologna resta un simbolo per il vecchio Pci, e perderla vorrebbe dire naufragio definitivo. Rifare l’Unione, dunque, garantisce sul risultato immediato (forse). Ma il nodo è proprio questo: l’orizzonte politico di una intera classe dirigente, di quella che va dagli ex-democristiani di sinistra che guardano all’Udc, a Rifondazione e tra poco ai Verdi non riesce ad andare oltre l’8 giugno 2009.

Per usare un linguaggio da giornalisti sportivi, si vuole vincere ma non convincere. Nel senso che l’obiettivo vero è quello di riconquistare le poltrone che contano e non farsi sfuggire di mano la gestione del potere, ben sapendo che quando si comincerà ad amministrare rispunteranno quelle frizioni e quelle distanze ideologiche che provocheranno l’immobilismo del governo locale. Ha ragione Filippo Berselli, coordinatore regionale del PdL, quando parla di “deja vu”.

Ma qui c’è in gioco ben altro che la sconfitta del centrodestra. Abbiamo una città che sta per finire in mano a chi si presenta con il phisique du role del becchino, a chi sa già che dovrà impiegare il proprio tempo a mediare, spiegare, tirare per la giacca questo o quell’altro alleato. Tutto fuorché governare e buttarsi a testa bassa per tirare fuori la città dal cono d’ombra in cui è sprofondata da tempo. L’Unione è la coalizione perfetta per accelerare, e non ridurre, il degrado di Bologna. E Delbono, politico senza carisma e incapace di trasmettere ottimismo, è la persona giusta per assolvere al compito.

Si può contrastare questa prospettiva? Intanto ciò che sta maturando all’interno del Pd sul piano nazionale potrebbe portare a conseguenze imprevedibili anche in periferia. Se le elezioni europee finiranno male, come molti segnali indicano, si dà per scontata la rottura definitiva fra ex-Ds e ex-Margherita. Rottura che difficilmente potrà riflettersi sull’esito della consulatazione elettorale bolognese, è vero, bensì sulla tenuta della coalizione subito dopo, con rischi consistenti di implosione. Oppure c’è il rischio più grave per Delbono: quello di non vincere al primo turno. Se il vicepresidente della Regione non porta la rinata Unione immediatamente alla vittoria, dovendo ricorrere al “secondo tempo”, l’effetto valanga sarà incontrollabile.

Certo, un centrodestra unito avrebbe aiutato molto a raggiungere l’obiettivo. Invece esso è spaccato fra due candidati forti come Cazzola e Guazzaloca, la cui presenza sui giornali e nei media in generale è monopolizzata quasi totalmente da inutili polemiche reciproche che non aiutano a erodere consenso a Delbono.

08 aprile 2009

I terremoti e il peccato originale

C'è una questione profonda che si rivela anche in casi come quello del terremoto dell'Aquila. Si tratta del fatto che la nostra società ha perso dimestichezza con due concetti che, invece, secondo noi avrebbero un'importanza decisiva anche sul piano sociale e politico: quello della provvidenza e quello del peccato originale.

Tre secoli di rosseauvismo ci hanno portato a pensare che la natura e l'uomo sarebbero fondamentalmente buoni e in sé perfetti. La nostra società sarebbe stata corrotta solo dall'egoismo della proprietà privata e dalla superstizione religiosa.
Sono cose che non si dicono più, e nemmeno ci si rende più conto di pensarle, ma le strutture culturali dominanti nella nostra società occidentale, ancora oggi, si basano proprio su questo paradigma.

Uno degli effetti collaterali più perniciosi di tutto ciò (assieme a quella famosa, progressiva, identificazione del diritto con il desiderio della quale già abbiamo parlato altre
volte) è che ormai la gente non riesce più a confrontarsi con un evento tragico della propria o altrui esistenza, senza che si vada subito a cercare il responsabile.

A parte i terremoti, sappiamo tutti che ormai buona parte dei medici ospedalieri, anche quelli bravi, nel corso della carriera si trovano almeno tre-quattro cause sul groppone. E' diventato inevitabile, visto che non appena muore qualche loro paziente che aveva meno di ottant'anni, i familiari vanno dall'avvocato ancora prima di essere andati dall'impresa di pompe funebri.

Poi, d'accordo, nessuno dice che la scienza e la tecnica non debbano indagare, cercare di migliorare, e che ci debbano essere incentivi alla responsabilità individuale, ecc.. e questo anche nella prevenzione dei terremoti.

Però occorrerebbe un impianto culturale diverso, anche perchè i cosiddetti "scienziati" ormai sono quasi tutti "tecnoscienziati", che fanno ricerche solo se e in quanto finanziate o finanziabili, e quindi devono sempre fare i conti con esigenze pratiche. E' una realtà che può non piacere, e si possono rimpiangere quanto si vuole i sistemi fondati sui finanziamenti pubblici (ne sanno qualcosa le nostre badanti ucraine e i nostri muratori albanesi che, spesso e volentieri, avrebbero tutti la loro bella laurea da esibire).
Tuttavia resta il fatto che la nostra società occidentale è progredita così, e senza questo sistema la conoscenza non potrebbe andare avanti.

Lasciando perdere i personaggi alla Travaglio, in perenne ricerca di pubblicità, che ci sono anche nel mondo scientifico, ormai dovrebbe essere stato chiarito che la ricerca sulla prevedibilità dei terremoti presenta scarse compatibilità economiche, in quanto il vero problema è semmai quello di mettere le case in sicurezza.

I giapponesi e i californiani ci sono riusciti meglio di noi, però nel loro caso bisogna tenere conto delle esigenze impellenti di una sismicità molto più elevata, che nel tempo li ha costretti a molte più ricostruzioni. Loro non devono confrontarsi con un'urbanizzazione statica che risale a secoli fa.

Ricorderò sempre l'espressione perplessa di quel collega giapponese in visita, che nel guardare la facciata di una basilica bolognese mi ripeteva "but, is it old?". Così come quella di una studentessa americana, con la quale facevo fatica a fare passare il concetto per cui quelle mura romane che ci trovavamo davanti risalivano al quarto e non al quattordicesimo secolo.
I giapponesi costruivano le case in legno e con le pareti di carta proprio per un senso connaturato di precarietà, e questo modo di pensare li ha facilitati nel tenersi aggiornati sui criteri antisismici.
Noi invece costruiamo in cemento armato e in muratura, quando proprio non possiamo costruire in pietra, perchè partiamo dal presupposto che una casa sia per sempre.

E' dunque inevitabile che, dopo un terremoto, vi siano quelli che cercano di imbastire polemiche sulla mancanza di sicurezza degli edifici. E' normale che, in casi come questi, specie a sinistra, ci sia chi se la prende con la mancanza di controlli e di finanziamenti da parte dello Stato e degli enti locali: il terremoto è un evento naturale come la pioggia, e quando arriva la pioggia ... chi è il ladro con cui prendersela?

Perlomeno, c'è da tirare un sospiro di sollievo che questa sciagura non sia avvenuta durante il governo Prodi. Altrimenti a quest'ora staremmo facendo i conti con la nuova sovrattassa sul terremoto abbruzzese, che a sua volta sarebbe stata apposta sulla tassa per smaltire la spazzatura di Napoli entro il 2011.
Ma a parte questo, visto che - se si vuol rimanere su un piano di realtà - è impensabile che alla fine paghi sempre Pantalone, avete mai visto come diventano selvagge le assemblee di condominio, quando arriva l'amministratore a dire che ci sarebbe da andare in tasca per mettere a norma l'impianto elettrico oppure per smaltire l'amianto del tetto?

Ecco, sommessamente domandiamo, ma la gente a queste cose ci pensa, quando scende al bar, apre la Repubblica, e poi comincia a polemizzare sulla incapacità di fare prevenzione dei terremoti?

03 aprile 2009

Ma quanto rosicano i pensionati dell'Arci (e il senatore Guzzanti...)


Dedicato a tutti compagni di oggi e di ieri - che tanto sono sempre gli stessi - ecco qui lo spottone di Silvio che, come un imperatore al Colosseo, ostende il pollice recto assieme all'abbronzato mr. President e al russo Medvedev. Nella galleria di foto di un'imbarazzatissima Repubblica c'è anche uno scatto in cui è proprio Obama a ripetere il medesimo gesto. Ma lui al massimo poteva ispirarsi a Fonzie, che tra l'altro è stato suo sponsor elettorale.


Il nostro amarcord elettorale di bolognesi - che con un po' di sano campanile, ancora oggi, non si rassegnano al ben diverso accento ferrarese dell'attuale commissario liquidatore del più grande ente inutile italiano - si nutre ancora dell'immagine di vecchi pensionati seduti fuori dal circolo Arci. Con il doppio mento che usciva fuori dal collo sbottonato della camicia presa in Piazzola, parlando ad alta voce perchè sentissero tutti i compagni e anche gli avventori causali, loro sì che ci spiegavano la pulettica con la prosopopea di chi veniva da lontano, e andava solo in autobus con l'abbonamento a prezzo politico.


"Finalmente con Prodi avremo uno che ci potrà rappresentare all'estero, che sa parlare bene l'inglese, mica come quello là ...".