14 novembre 2010

Lettera aperta a Avvenire (2)

Caro Direttore,

se Berlusconi non se ne inventerà una delle sue, come peraltro potrebbe benissimo fare, il rischio è quello di essere giunti alla vigilia di un periodo di transizione verso il nulla.

La situazione è meno drammatica che nel 1946, ma anche oggi c'è chi spera che, come allora, la Chiesa Cattolica italiana non resterà a guardare. Il mio auspicio è che si assuma la responsabilità di un'iniziativa politica.
Di certo non sarà possibile una nuova Dc, ma qualcosa in più per l'unità dei cattolici in politica a mio avviso la si potrebbe senz'altro fare, e se non ora quando?
Eppure, non solo su questo tema, i vescovi sembrano incerti, e scontano le evidenti divisioni che vi sono tra di loro e tra i fedeli.

Nel contempo, vediamo che tra i cattolici impegnati "nel sociale" c'è chi si sente imbarazzato, e in dovere di alzare il ditino per richiamare il premier alla sobrietà morale. Proprio nel momento in cui si era ospiti del suo governo, e si stava per incassare un'attenzione per i problemi della famiglia che non si vedeva da molto tempo.
Di certo, si sarà interpretato il sentimento di disagio di molti fedeli. Ma è quello dei moralisti l'unico ruolo che oggi possono avere i cattolici in politica? Siamo tuttora tutti così impermeabili alla lezione del vecchio Benedetto Croce, sul fatto che la vera moralità, per un politico, risiede nell'efficacia della sua azione pubblica, e non certo nei suoi comportamenti privati?

Inoltre, ora vediamo che tra i cattolici impegnati c'è anche gente vendicativa (alla faccia del Vangelo), che esulta e si dice pure orgogliosa perché colui che aveva scritto male di loro è stato punito impedendogli di continuare a scrivere.
Tante altre lezioni politiche - non dico di Voltaire che non è il caso - bensì di insigni pensatori cattolici e liberali, sul valore assoluto della libertà di stampa in una moderna democrazia, a quanto pare sono rimaste anch'esse inascoltate. E come al solito, l'occasione di un bel tacer è andata perduta.

Ecco, in questa apparente passività dei vescovi, mi piace pensare che non si tratti solo di divisioni e di incertezza, ma anche del fatto che ci sia ancora qualcuno, nelle stanze della CEI, che non ha perso l'istinto di mettersi le mani nei capelli quando apprende certe cose. Speriamo che, di conseguenza, si metta a pregare perchè ci pensi il Signore, che quando è venuto a visitarci sulla terra con i moralisti e i vendicatori del suo tempo ne ha avuto a che fare fin troppo.

11 novembre 2010

La prevalenza dei cattolicuzzi

Ormai ho iniziato a chiamarli cattolicuzzi, e continuerò così. Mi riferisco a un nutrito numero di figli di Santa Romana Chiesa impegnati a tempo pieno nella politica, nel giornalismo e in attività sociali e culturali. Si tratta di personaggi ben riconoscibili, dal momento che, in genere, scrivono solo per testate cattoliche, organizzano solo iniziative cattoliche e spesso partecipano solo a queste, e comunque tengono sempre ben visibili le insegne del cattolicesimo nell’attività dei loro rispettivi partiti e associazioni. E ti fanno veramente venire la voglia di ripetere loro l’immortale consiglio di san Josemaria Escrivà: “lorsignori potrebbero farci la cortesia di essere un po’ meno cattolici”?

Purtroppo, dopo la fine della presidenza Cei del cardinale Ruini, l’impressione è che i cattolicuzzi abbiano ormai preso il largo, e che sarà difficile riuscire a richiamarli, impedendo la loro progressiva deriva.
Da ultimo, questi nostri amici si sono manifestati in forze – con la boccuccia schifata e il ditino alzato – dopo le rivelazioni sul cosiddetto “caso Ruby”. Lo sdegno cattolicuzzo è arrivato persino a compromettere la partecipazione del premier all’ultima Conferenza Nazionale sulla Famiglia, a Milano. Nonostante che in quella circostanza il Cav. non fosse nemmeno ospite, bensì il padrone di casa.
A mio avviso – diciamolo subito – il premier ha fatto benissimo a non presentarsi, esattamente come Benedetto XVI a suo tempo aveva fatto bene a non andare in visita alla Sapienza di Roma, dopo le contestazioni ricevute. In entrambi i casi, non mi sembrava il caso di dare alcuna soddisfazione agli omologhi pagani dei nostri amici cattolicuzzi, che potremmo appunto definire “laicuzzi”, i quali in certe situazioni ci sguazzano.

Ma a parte questo, si può accettare l’idea che il ruolo dei cattolici in politica sia anche e soprattutto quello di alzare il ditino, a pretendere dagli altri coerenza morale e integrità di vita? Già è facile notare che certe pretese si avanzano molto più per Berlusconi che per tutti gli altri politici, e questo dovrebbe saltare subito all’occhio di chiunque bazzichi il mondo dei media con un minimo di cognizione di causa e di onestà intellettuale. Mentre il fatto stesso che sembrino non accorgersene, denota che i cattolicuzzi sono, nel migliore dei casi, dotati di scarsissimi anticorpi rispetto alla propaganda mediatica.

Il quotidiano Avvenire, voce ufficiale dei vescovi italiani, si distingue da sempre per la sobrietà con cui seleziona e presenta le notizie. A maggior ragione, quindi, ci si dovrebbe aspettare da esso il massimo equilibrio nel giudicare i comportamenti privati del premier. Possibile, dunque, che i pur ottimi giornalisti di detta testata in questi casi non valutino mai l’opportunità di starsene zitti, tenendo presente che qualunque sospiro che appare sulle loro pagine, se può essere interpretato in senso antiberlusconiano, viene subito rilanciato e amplificato dagli altri media fino a diventare una specie di tifone che parte dal Vaticano per abbattersi su palazzo Grazioli? Oppure lo sanno benissimo, e fanno apposta?

Il meccanismo è tanto collaudato da funzionare anche in senso inverso, come dimostra il fatto che le critiche all’anticlericalismo di Gianfranco Fini, parimenti comparse su Avvenire, sono state rilanciate solamente dalla stampa di centrodestra. Ed è anche vero che i risvolti etici del “caso Montecarlo” sono stati sostanzialmente ignorati, da parte di Avvenire così come da tutto il resto del mondo cattolicuzzo.
Quindi, a maggior ragione, non sarebbe il caso di osservare maggiore accortezza, oltre che imparzialità, nel giudicare i comportamenti dei politici, se non si vuole passare per faziosi pur non essendolo?

Ma il punto non è tanto quello. Il vero problema è che il mondo cattolico non ha alcuna convenienza nell’ostinarsi a non fare propria la lezione di Benedetto Croce, secondo il quale la moralità, per un politico, non consiste nelle sue abitudini private, ma nell’essere capace di realizzare ciò che promette.
Ostinarsi nel pretendere dai politici anche la coerenza personale e la sobrietà di vita, invece, in primo luogo produce effetti di insopportabile ipocrisia, doppiopesismo e facili strumentalizzazioni. Ma soprattutto, porta la partecipazione dei cattolici alla vita pubblica a scadere nel più vieto – e irrilevante – moralismo. Un po’ come avviene nei paesi anglosassoni, dove il sentimento religioso ha una notevole importanza nel determinare le scelte degli elettori, ma il ruolo pubblico delle comunità religiose organizzate, in quanto tali, tende a essere quasi nullo.

In Italia, al contrario, mai come ora ci sarebbe bisogno che la Chiesa Cattolica partecipasse come soggetto attivo anche alla vita politica, e in questo senso ritrovasse coesione e unità di prospettive.
La Democrazia Cristiana si è macchiata di responsabilità storiche enormi, ma ha dato il meglio di sé nell’avere impedito che l’Italia uscisse dal novero delle democrazie occidentali. Ora, se dovesse tramontare la leadership di Berlusconi, alla lunga il rischio potrebbe essere più o meno lo stesso. Non perché si possa affermare una dittatura comunista, quanto perché la prospettiva è quella di un ritorno delle peggiori prassi politiche della prima Repubblica, con l’aggravante del caos istituzionale.

Quindi, non sarebbe male che la Chiesa Cattolica si assumesse di nuovo, come fece nel 1946, la responsabilità di guidare il popolo dei cattolici, mediante una strategia politica unitaria e definita.
Chi scrive ha sempre nutrito diffidenza verso quei laici che si impegnano nella vita pubblica solo dietro permesso del parroco o del vescovo. La libertà politica, dalla quale consegue una naturale diversità di orientamenti e di scelte di appartenenza, è un valore fondamentale per i credenti laici. Ma il momento è tale da non potersi più permettere di abbandonare questi ultimi a loro stessi.
Intanto, i laici cattolici pur non potendo pretendere di venire sempre spalleggiati dalla gerarchia ecclesiastica, hanno comunque il diritto a non essere disorientati da questa. E soprattutto, hanno il diritto di non sentirsi sempre isolati, se non proprio contraddetti e scoraggiati, quando cercano di fare valere i valori cattolici nella vita pubblica.
Quanto meno, se proprio si vuole restare legati a un’impostazione un po’ moralistica del rapporto tra cattolici e politica, sarebbe urgente aiutare i fedeli a non farsi turlupinare dai media, come invece sembra accadere per tanti cattolicuzzi in buona fede. La coscienza dei fedeli va rispettata, ma anche orientata.

Ora, è comprensibile che il sentimento dei cattolici meno smaliziati rimanga scandalizzato, di fronte allo stile di vita libertino del premier. Quindi, è comprensibile che certi politici abbiano sentito il bisogno di farsene interpreti. Ma appunto, se si vuole che i cattolici rientrino nel gioco della politica come un soggetto autorevole, intanto bisognerebbe aiutare il popolo di Dio a orientarsi e a porsi certe domande. Tanto per cominciare, si potrebbe insegnare loro a chiedersi – faccio solo un esempio astratto – se sia più grave per un politico darsi a festini privati con giovani donne, oppure rifiutarsi, per questioni formali e di potere, di firmare un decreto legge che avrebbe potuto evitare l’uccisione di una disabile.

Insomma, se proprio ci si vuole addentrare nel giudizio sulla moralità dei politici, allora non si possono eludere certe distinzioni, dal momento che altrimenti è fin troppo facile esporsi alla critica di essere strumentalizzabili, incoerenti, incerti, e pertanto in ultima analisi irrilevanti. I cattolicuzzi in buona fede (che non lo sono tutti, ma molti sì), a quanto pare certe raffinatezze del dibattito politico non arrivano nemmeno a sospettarle. Allora, a maggior ragione, spetterebbe ai pastori orientarne l’azione. Non si è sempre detto che le coscienze dei fedeli vanno orientate? Bene, perché questo non dovrebbe valere per la politica, mettendo a parte i moralismi e le facili indignazioni per il libertino di turno?

Purtroppo, sembra che dopo l’uscita di scena del cardinale Ruini, da parte dei vescovi ci sia persino una certa voluttà nel voler evitare di inserirsi come soggetto attivo nel gioco politico nazionale. Di certo l’episcopato sconta le sue stesse divisioni e il suo disorientamento. E, in questo contesto, non è facile interpretare la scelta di avocare dalla Cei alla Santa Sede le questioni relative ai rapporti con la politica italiana, che ha segnato l’inizio dei rispettivi mandati dei cardinali Bertone e Bagnasco.
Se si è trattato di una scelta strategica, per evitare le divisioni e le derive a sinistra di certi settori del nostro episcopato, allora l’intento era più che comprensibile. Ma questo modo di abbandonare a se stesso il popolo di Dio in Italia, e lasciare che sui media e in politica prevalga l’orientamento incerto e moralistico dei cattolicuzzi, e di chi ha gioco facile nello strumentalizzarli, potrà portare a un esito solo: la progressiva irrilevanza politica della Chiesa Cattolica nel nostro Paese.

Questo appare molto frustrante per chi invece vorrebbe continuare a impegnarsi nella vita pubblica in coerenza con la grande tradizione politica del cattolicesimo (e non con il moralismo spicciolo, né tanto meno con le vecchie prassi democristiane). Tra l’altro, sarebbe interessante sapere che cosa davvero vuol dire il cardinale Bagnasco quando, come avviene da qualche tempo, continua a ripetere che i cattolici devono tornare a impegnarsi in politica.
Ancora una volta, la posta in gioco è ben più alta di quel che può sembrare. Non credo che alla lunga la scomparsa della presenza politica dei cattolici in quanto tali, in Italia, si rivelerebbe un buon affare per nessuno. Non solo per la dimensione etica della vita pubblica, ma anche per la sussistenza di condizioni accettabili di libertà politica per tutti.