Dunque, Romano si è tagliato gli attributi da solo e a questo punto la politica italiana di primo piano se ne libera definitivamente. Essere mandato a casa dopo nemmeno due anni di presidenza del consiglio, una volta si può capire; ma alla seconda qualche sospetto viene. Evidentemente l’uomo non è portato a lavorare in squadra, come si direbbe in una qualunque azienda.
Oddio, di personaggi a sinistra incapaci di collaborare pare non ne manchino. Basta guardare verso il Campidoglio. Il capo del Partito Democratico, Walter Veltroni, ha rovesciato il tavolo dicendo che alle prossime elezioni la nuova formazione si presenterà da sola. Che è stato come suggerire agli alleati più piccoli di piazzare a Palazzo Chigi una bomba di quelle pesanti. Bomba che alla fine è puntualmente esplosa.
A destra si brinda. E per i primi minuti di euforia, ci può anche stare. Subito dopo, però, sarà bene guardare in faccia la realtà. E la realtà racconta di stracci volati fino a ieri nell’ex Casa delle Libertà, ridotta a ring di tutti contro tutti. Ora, d’incanto, è scoppiata la pace: pacche sulle spalle, “vai Silvio che sei forte” e poesie del genere. A parte il fatto che non è scontato che si vada ad elezioni, e dunque sarà bene che il centrodestra tenga duro su questo fronte se vuole centrare l’obiettivo, c’è da chiedersi quanto sia credibile una unità riscoperta dalla sera alla mattina.
Ricordiamo che Forza Italia è un partito in via di liquidazione per la nascita del Popolo della Libertà. E all’interno di FI si è scatenata una battaglia che oggi si vede meno ma che resta in tutta la sua virulenza contro l’unica vera novità spendibile sul piano nazionale da Berlusconi, cioè Michela Vittoria Brambilla. E ricordiamo che An e Udc l’hanno giurata a Silvio per aver accelerato verso il partito unico.
Non può bastare la pregiudiziale anti-prodiana, allora, per vincere la tornata elettorale. Perché se così fosse, se cioè i leader del centrodestra non mettessero mano in modo costruttivo a sanare i loro problemi, subito dopo la vittoria si troverebbero nelle medesime condizioni di Prodi nel 2006, con una maggioranza più o meno ampia ma comunque instabile. Per il centrodestra si apre dunque una fase particolarmente delicata e non priva di insidie.
Deve raggiungere quella compattezza, prima di tutto programmatica, che solo una settimana fa sembrava appartenere a un’altra dimensione. E come ben sanno i vecchi saggi, costruire è molto più difficile che distruggere. Non si pensi che la figuraccia rimediata da Prodi e compagnia si traduca in milioni di voti di elettori del centrosinistra che tra qualche mese li indirizzeranno automaticamente nella saccoccia del centrodestra.
Tra la gente la disillusione è enorme verso la politica in genere e verso i politici in genere. Il rischio è l’astensione di massa. Come reagiranno gli elettori di destra laddove scoprissero che Mastella è diventato un loro alleato? Ecco perché l’intuizione di Berlusconi di dar vita al Popolo della Libertà, con i Circoli che lavorano tra i bisogni quotidiani del signor Rossi e della signora Maria, e che dunque non si perdono in beghe incomprensibili, può rappresentare l’ennesimo asso nella manica dei moderati italiani. Fini e Casini lo capiranno?
Graziano Girotti
(L'Opinione, 29 gennaio 2008)
29 gennaio 2008
22 gennaio 2008
Diventeremo Eurabia? Non è detto. Ecco perché
In tempi nei quali si impedisce al Papa di andare alla Sapienza di Roma per affermare che “la fede non va imposta in modo autoritario” e che l’approccio laico al sapere è il primo valore su cui deve fondarsi l’università (dando così una lezione di autentico liberalismo ai nostri laicisti che ancora si macerano nelle nostalgie per il Sessantotto), diventa utile prendere in mano un libro uscito alcune settimane fa.
Si tratta de “L’ultima chance dell’Occidente”, scritto da Tony Blankley e pubblicato da Rubbettino, casa editrice sempre in grado di scovare intellettuali che se vivessero nel nostro Paese sarebbero immediatamente emarginati fra le streghe da bruciare non appena aprissero bocca o scrivessero qualcosa. Un altro di questi intellettuali è Guglielmo Piombini, che ha tradotto il volume e ne ha curato la prefazione. Blankley, editorialista del Washington Times, oltre che popolare commentatore politico alla radio e alla televisione, in passato è stato consigliere nonché autore dei discorsi del presidente Ronald Reagan.
Nella sua ultima opera, Blankley ragiona sul possibile scenario che tra qualche decennio vedrebbe l’Europa trasformata in Eurabia. Tre le tendenze che, se non combattute adeguatamente, renderebbero inevitabile questa prospettiva: la massiccia immigrazione musulmana, il tasso di natalità negativo e l’egemonia del multiculturalismo.
I calcoli matematici confermano che se gli attuali trend demografici permangono costanti fino alla fine del secolo, la popolazione europea si ridurrà dagli attuali 700 milioni ad appena 200 milioni di abitanti e i musulmani saranno maggioranza. Nello stesso tempo la popolazione degli Stati Uniti, con un tasso di natalità attualmente vicino al fatidico numero di 2,1 figli per donna, aumenterà fino a raggiungere nel 2050 i 400 milioni di abitanti.
Di fronte a queste cifre, gli osservatori statunitensi si chiedono se una futura Europa a maggioranza musulmana farà ancora parte dell’Occidente, o se si trasformerà in un continente nemico dell’America. A ciò bisogna aggiungere la graduale e strisciante islamizzazione del Vecchio continente, che favorisce la diffusione di sentimenti anti-occidentali tra gli immigrati musulmani di seconda e terza generazione e proprio in quei paesi, come l’Olanda e la Gran Bretagna, che sono andati più avanti nell’applicazione del multiculturalismo.
Secondo un rapporto del ministero degli interni britannico del 2004, il 26 per cento dei musulmani che risiedono nel paese non provano alcun sentimento di lealtà verso l’Inghilterra, il 13 per cento sostengono il terrorismo e l’1 per cento (circa ventimila persone) sono attivamente impegnati nel terrorismo o nelle attività di appoggio. Si potrebbero fare tantissimi altri esempi.
A Londra, una corte penale ha accettato il principio della sharia secondo cui un musulmano non può essere giudicato da un non-musulmano.
In Germania sono sempre più numerose le sentenze della magistratura che, in omaggio alle differenze culturali, derogano alla legge tedesca in materia di famiglia, poligamia, separazione dei sessi, macellazione, preghiere pubbliche.
Blankley si pone l’obiettivo di capire se gli europei abbiano abbracciato in modo definitivo una mentalità materialista, relativista e postcristiana, condannandosi all’estinzione nell’Eurabia, o se invece desiderano ancora trasmettere la propria identità culturale ai propri discendenti perché non diventino stranieri nella propria terra. Secondo l’autore, gli attuali trend culturali, religiosi e demografici europei non continueranno a lungo.
Intanto gli europei stanno cambiando il modo di guardare all’immigrazione islamica, soprattutto dopo gli attentati di Londra e Madrid. La gente comune, a dispetto della propaganda politicamente corretta diffusa dalle élite culturali e politiche, si sta accorgendo che la grande maggioranza degli islamici non cerca affatto l’integrazione, ma persegue un piano a lunga scadenza di dominazione dell’Europa con mezzi diversi dal passato.
In secondo luogo, il contatto con una cultura completamente diversa e fortemente ostile come quella islamica sta facendo riscoprire in molti europei i tanti aspetti positivi e a lungo trascurati della propria fede cristiana. Benedetto XVI sta concentrando gli sforzi maggiori del suo pontificato nell’obiettivo di riaccendere la fiamma della fede cristiana in Europa.
Infine, l’inevitabile crisi fiscale degli stati assistenziali imporrà drastici cambiamenti sociali. Negli ultimi decenni il welfare state ha contribuito fortemente alla denatalità, dando a molte persone l’illusione di poter evitare i sacrifici e i costi legati all’allevamento dei figli senza subire alcuna conseguenza futura, nella certezza che lo Stato le avrebbe mantenute e assistite durante la vecchiaia.
Troppe persone hanno fatto i calcoli in questo modo e di conseguenza non sono mai nate le generazioni incaricate di pagarne il conto. Tra pochi anni infatti cominceranno a ritirarsi dal lavoro i numerosi baby-boomers venuti alla luce nel dopoguerra, proprio quando il numero dei produttori e dei contribuenti si ridurrà drasticamente per effetto del calo demografico. L’inevitabile collasso della sicurezza restituirà però un ruolo fondamentale alle associazioni caritatevoli religiose e innescherà molto probabilmente un nuovo boom delle nascite, perché durante gli austeri tempi di magra i figli torneranno a rappresentare una indispensabile protezione per la tarda età.
Insomma, minacciati dall’aggressione islamica e dalla crisi dello Stato sociale, gli europei torneranno a comportarsi come hanno sempre fatto nelle circostanze difficili, abbandonando gli stili di vita edonistici e riscoprendo la fede e la famiglia. Lo stesso ciclo della secolarizzazione avrebbe già raggiunto il suo culmine in Europa proprio in questi anni con l’arrivo dei protagonisti della contestazione nei posti chiave del potere, che si sono portati dietro egualitarismo, relativismo morale, multiculturalismo, pari opportunità, liberazione sessuale, materialismo e edonismo. Ideali che hanno eroso negli uomini occidentali la volontà di vivere una vita produttiva, di moltiplicarsi e di affermare la propria cultura.
Graziano Girotti
(L'Opinione, 22 gennaio 2008)
Si tratta de “L’ultima chance dell’Occidente”, scritto da Tony Blankley e pubblicato da Rubbettino, casa editrice sempre in grado di scovare intellettuali che se vivessero nel nostro Paese sarebbero immediatamente emarginati fra le streghe da bruciare non appena aprissero bocca o scrivessero qualcosa. Un altro di questi intellettuali è Guglielmo Piombini, che ha tradotto il volume e ne ha curato la prefazione. Blankley, editorialista del Washington Times, oltre che popolare commentatore politico alla radio e alla televisione, in passato è stato consigliere nonché autore dei discorsi del presidente Ronald Reagan.
Nella sua ultima opera, Blankley ragiona sul possibile scenario che tra qualche decennio vedrebbe l’Europa trasformata in Eurabia. Tre le tendenze che, se non combattute adeguatamente, renderebbero inevitabile questa prospettiva: la massiccia immigrazione musulmana, il tasso di natalità negativo e l’egemonia del multiculturalismo.
I calcoli matematici confermano che se gli attuali trend demografici permangono costanti fino alla fine del secolo, la popolazione europea si ridurrà dagli attuali 700 milioni ad appena 200 milioni di abitanti e i musulmani saranno maggioranza. Nello stesso tempo la popolazione degli Stati Uniti, con un tasso di natalità attualmente vicino al fatidico numero di 2,1 figli per donna, aumenterà fino a raggiungere nel 2050 i 400 milioni di abitanti.
Di fronte a queste cifre, gli osservatori statunitensi si chiedono se una futura Europa a maggioranza musulmana farà ancora parte dell’Occidente, o se si trasformerà in un continente nemico dell’America. A ciò bisogna aggiungere la graduale e strisciante islamizzazione del Vecchio continente, che favorisce la diffusione di sentimenti anti-occidentali tra gli immigrati musulmani di seconda e terza generazione e proprio in quei paesi, come l’Olanda e la Gran Bretagna, che sono andati più avanti nell’applicazione del multiculturalismo.
Secondo un rapporto del ministero degli interni britannico del 2004, il 26 per cento dei musulmani che risiedono nel paese non provano alcun sentimento di lealtà verso l’Inghilterra, il 13 per cento sostengono il terrorismo e l’1 per cento (circa ventimila persone) sono attivamente impegnati nel terrorismo o nelle attività di appoggio. Si potrebbero fare tantissimi altri esempi.
A Londra, una corte penale ha accettato il principio della sharia secondo cui un musulmano non può essere giudicato da un non-musulmano.
In Germania sono sempre più numerose le sentenze della magistratura che, in omaggio alle differenze culturali, derogano alla legge tedesca in materia di famiglia, poligamia, separazione dei sessi, macellazione, preghiere pubbliche.
Blankley si pone l’obiettivo di capire se gli europei abbiano abbracciato in modo definitivo una mentalità materialista, relativista e postcristiana, condannandosi all’estinzione nell’Eurabia, o se invece desiderano ancora trasmettere la propria identità culturale ai propri discendenti perché non diventino stranieri nella propria terra. Secondo l’autore, gli attuali trend culturali, religiosi e demografici europei non continueranno a lungo.
Intanto gli europei stanno cambiando il modo di guardare all’immigrazione islamica, soprattutto dopo gli attentati di Londra e Madrid. La gente comune, a dispetto della propaganda politicamente corretta diffusa dalle élite culturali e politiche, si sta accorgendo che la grande maggioranza degli islamici non cerca affatto l’integrazione, ma persegue un piano a lunga scadenza di dominazione dell’Europa con mezzi diversi dal passato.
In secondo luogo, il contatto con una cultura completamente diversa e fortemente ostile come quella islamica sta facendo riscoprire in molti europei i tanti aspetti positivi e a lungo trascurati della propria fede cristiana. Benedetto XVI sta concentrando gli sforzi maggiori del suo pontificato nell’obiettivo di riaccendere la fiamma della fede cristiana in Europa.
Infine, l’inevitabile crisi fiscale degli stati assistenziali imporrà drastici cambiamenti sociali. Negli ultimi decenni il welfare state ha contribuito fortemente alla denatalità, dando a molte persone l’illusione di poter evitare i sacrifici e i costi legati all’allevamento dei figli senza subire alcuna conseguenza futura, nella certezza che lo Stato le avrebbe mantenute e assistite durante la vecchiaia.
Troppe persone hanno fatto i calcoli in questo modo e di conseguenza non sono mai nate le generazioni incaricate di pagarne il conto. Tra pochi anni infatti cominceranno a ritirarsi dal lavoro i numerosi baby-boomers venuti alla luce nel dopoguerra, proprio quando il numero dei produttori e dei contribuenti si ridurrà drasticamente per effetto del calo demografico. L’inevitabile collasso della sicurezza restituirà però un ruolo fondamentale alle associazioni caritatevoli religiose e innescherà molto probabilmente un nuovo boom delle nascite, perché durante gli austeri tempi di magra i figli torneranno a rappresentare una indispensabile protezione per la tarda età.
Insomma, minacciati dall’aggressione islamica e dalla crisi dello Stato sociale, gli europei torneranno a comportarsi come hanno sempre fatto nelle circostanze difficili, abbandonando gli stili di vita edonistici e riscoprendo la fede e la famiglia. Lo stesso ciclo della secolarizzazione avrebbe già raggiunto il suo culmine in Europa proprio in questi anni con l’arrivo dei protagonisti della contestazione nei posti chiave del potere, che si sono portati dietro egualitarismo, relativismo morale, multiculturalismo, pari opportunità, liberazione sessuale, materialismo e edonismo. Ideali che hanno eroso negli uomini occidentali la volontà di vivere una vita produttiva, di moltiplicarsi e di affermare la propria cultura.
Graziano Girotti
(L'Opinione, 22 gennaio 2008)
07 gennaio 2008
Aborto: il rovesciamento della laicità
Le polemiche sorte dopo la proposta di Giuliano Ferrara di una moratoria sull’aborto fanno pensare che davvero, nella nostra cultura politica, nel corso degli ultimi trent’anni si sia compiuto un rovesciamento.
Le dichiarazioni dei laicisti nostrani, che in quanto ben spalleggiati dai media sembrano essere ancora molto più numerosi di quanto poi non siano in realtà, ci hanno dimostrato che ormai è proprio la loro la parte più retrograda, dogmatica, reazionaria ed ottusa dello schieramento politico.
Vale a dire che i cosiddetti “laici” sono diventati proprio quello che, ai tempi della loro giovinezza, sostenevano che fossero i cattolici moderati e benpensanti.
Invece – e questa a ben vedere non è una novità – ai nostri giorni la vera laicità proviene proprio da coloro che ascoltano ed acclamano papa Ratzinger come il più grande maītre à penser dei nostri tempi.
Cosa hanno infatti dichiarato lor signori, riguardo all’opportunità di rivedere la vigente legge sull’aborto? Le stesse cose che dicevano trent’anni fa, quando è stata approvata.
Non hanno cambiato nemmeno le virgole. Non si sono minimamente preoccupati di andare a vedere cosa sia successo, nel corso di questi trent’anni, mentre loro invecchiavano inesorabilmente.
A risentirli oggi sembra davvero di ascoltare un disco in vinile di prima dell’avvento della stereofonia: “l’autodeterminazione della donna …”; “la piaga dell’aborto clandestino …”; “… ma l’aborto è sempre un dramma”; “… bisogna piuttosto promuovere la contraccezione …”.
Al Tg5 hanno addirittura riesumato il vecchio Pannella, che ha riproposto il solito discorso oscillante tra due soli concetti: “ferri da calza” e “mammane”, che al massimo si invertivano di posizione e diventavano “mammane” e “ferri da calza”.
Del resto, su questo e tanti altri temi il buon Giacinto detto Marco non aveva mai cambiato registro nemmeno quando ancora era più lucido. Ma non è il solo, e nemmeno c’è solo la barba bianca di Eugenio Scalfari a tenergli compagnia, magari con un plaid sulle ginocchia. Ci sono anche dei cinquantenni che quando si parla di aborto (o divorzio) continuano a ripetere le stesse identiche frasi, e sono refrattari a qualsiasi tentativo di approfondimento.
Un dogmatismo stolido, insomma, che forse non trova eguali in nessun altro argomento (oddio, è meglio non sottovalutarli, ma al momento non ci sembra proprio…).
Per loro il tempo non è passato, siamo ancora nel 1978. Del resto, a farci caso, qualcuno di loro si veste ancora come in quegli anni. E probabilmente – se non fosse per i soldi che hanno fatto – girerebbero ancora tutti con le Alfette, e i più sfigati con la Lancia Delta.
Invece i cattolici, e non solo loro, cosa hanno chiesto? In poche parole, da un punto di vista metodologico, hanno proposto di cominciare ad essere un po’ più laici, anche quando si parla di aborto.
Cos’è infatti la laicità? Non dovrebbe essere l’atteggiamento di chi non parte mai da dogmi e verità precostituite, ma cerca sempre di verificare, discutere, fare esperienza, e praticare quello che i liberali di una volta chiamavano “il metodo del dubbio”? Appunto, questo è esattamente quello che i cattolici stanno chiedendo, e non da oggi, rispetto alla 194.
Legge che prescrive solennemente che l’aborto in Italia non deve essere un mezzo di contraccezione, e quindi i pubblici poteri devono adottare le “iniziative necessarie per evitare che sia usato ai fini della limitazione delle nascite” (art. 1). Legge che prevede che, prima di essere ammessa ad abortire, la donna debba essere “aiutata a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza”, in quanto le strutture socio-sanitarie pubbliche e private devono “promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto” (art. 5).
Tant’è che – con buona pace di alcune sentenze della magistratura, che considerano l’aborto un diritto soggettivo della donna – si tratta di un intervento che può essere eseguito solo nell’ambito di strette limitazioni, che non hanno poi tanto a che vedere con la “autodeterminazione”.
Nei primi novanta giorni di gravidanza, affinché sia autorizzato l’aborto deve essere riscontrato nella donna “un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito” (art. 4).
Anche in questi casi, il medico deve congedare la richiedente con un “invito a soprassedere per sette giorni”, soltanto dopo il quale la donna può presentarsi presso le strutture autorizzate.
Questa è la legge vigente, questa è l’unica norma sovrana alla quale lor signori pretendono che - in nome della laicità - si sia tutti sottoposti e ossequienti, senza distrazioni prevenienti dal Vaticano.
Bene, chiediamo noi – e chiedono i veri laici – e allora tutto questo è avvenuto, negli ultimi trent’anni?
Si dice che sarebbero molti i casi di donne che ottengono di abortire quando hanno già un figlio o due. In simili situazioni è perlomeno dubbio che vi siano le condizioni di cui all’art. 4, ed è legittimo il sospetto che si tratti di aborti a fini contraccettivi. E’ vero? Quante sono, ogni anno?
Si dice poi che ci siano altrettante abortenti che sarebbero tutt’altro che ragazze-madri, come si diceva una volta. Sarebbero invece donne con una vita regolare, nemmeno più giovanissime, con un lavoro, un compagno di vita, e che di certo non vivono in “condizioni economiche, sociali o familiari” di disagio. Ecco, anche questo è vero? Quante sono? Ci sono dati statistici affidabili al riguardo?
Sono domande delle quali è difficile mettere in dubbio la laicità. In fondo, stiamo solo chiedendo di controllare i dati dell’esperienza, dopo trent’anni di legge 194. Non si era detto che laicità significa capacità di interrogarsi liberamente, e di verificare sempre quel che ci viene raccontato?
Invece, si tratta di domande per le quali è difficile trovare una risposta pubblica. Nella politica e sui giornali, sono in circolazione troppi sacerdoti del dogma laicista per poter tranquillamente porre queste questioni.
I pretesi “oscurantisti” di un tempo sono diventati i veri laici, e come dicevamo non è una novità, in quanto la dimensione della laicità nella politica l’ha inventata proprio il cristianesimo. Date a Cesare quel che è di Cesare, e poi la lotta delle investiture, la teoria dantesca dei “due soli”, cioè l’Impero e il Papato, ecc...
Ma nel contempo, è accaduto che i pretesi “laici” siano invece diventati i peggiori oscurantisti, nel senso etimologico del termine: quelli che vogliono tenere gli altri all’oscuro.
E sono proprio i cattolici che devono insegnare loro il mestiere, invitandoci tutti a fare alcune cose che, in una società aperta e laica, dovrebbero essere garantite ma anche sempre ben coltivate: cioè - sembrano dirci - interrogatevi. Fatevi venire dei dubbi. Discutete. Verificate. Siate laici.
Aveva ragione Augusto del Noce, uno che di rovesciamenti filosofici ed ideali se ne intendeva.
Già negli anni settanta diceva che uno dei tratti salienti della società europea, nonostante tante professioni di laicità e di liberazione dell’uomo dalle catene dei dogmi, era diventato proprio il “divieto di fare domande”. E oggi, secondo alcuni, siamo già arrivati all’epoca del “divieto di dare risposte”.
Ma tanta tracotanza sembra nascondere solo la disperazione di chi scopre che le sue idee di sempre, per le quali ha lottato per un’intera carriera politica o giornalistica, erano enormi inganni. O comunque sono idee che hanno irrimediabilmente perso, e sono finite fuori dal vento della storia perché non trovano più alcun riscontro nella vita reale degli uomini, e nelle loro esigenze.
Per questo, solo per rassicurarsi, continuano a ripetere le stesse cose di trent’anni fa.
All’epoca della legge 194 chi scrive aveva poco più di dieci anni, e ricorda che suo nonno cantava sempre il “tango delle capinere”, e per Natale si faceva regalare dischi che portavano l’etichetta nera della Decca. Cosa hanno regalato per quest’ultimo Natale ai vari Pannella, Scalfari, ecc.?
Le dichiarazioni dei laicisti nostrani, che in quanto ben spalleggiati dai media sembrano essere ancora molto più numerosi di quanto poi non siano in realtà, ci hanno dimostrato che ormai è proprio la loro la parte più retrograda, dogmatica, reazionaria ed ottusa dello schieramento politico.
Vale a dire che i cosiddetti “laici” sono diventati proprio quello che, ai tempi della loro giovinezza, sostenevano che fossero i cattolici moderati e benpensanti.
Invece – e questa a ben vedere non è una novità – ai nostri giorni la vera laicità proviene proprio da coloro che ascoltano ed acclamano papa Ratzinger come il più grande maītre à penser dei nostri tempi.
Cosa hanno infatti dichiarato lor signori, riguardo all’opportunità di rivedere la vigente legge sull’aborto? Le stesse cose che dicevano trent’anni fa, quando è stata approvata.
Non hanno cambiato nemmeno le virgole. Non si sono minimamente preoccupati di andare a vedere cosa sia successo, nel corso di questi trent’anni, mentre loro invecchiavano inesorabilmente.
A risentirli oggi sembra davvero di ascoltare un disco in vinile di prima dell’avvento della stereofonia: “l’autodeterminazione della donna …”; “la piaga dell’aborto clandestino …”; “… ma l’aborto è sempre un dramma”; “… bisogna piuttosto promuovere la contraccezione …”.
Al Tg5 hanno addirittura riesumato il vecchio Pannella, che ha riproposto il solito discorso oscillante tra due soli concetti: “ferri da calza” e “mammane”, che al massimo si invertivano di posizione e diventavano “mammane” e “ferri da calza”.
Del resto, su questo e tanti altri temi il buon Giacinto detto Marco non aveva mai cambiato registro nemmeno quando ancora era più lucido. Ma non è il solo, e nemmeno c’è solo la barba bianca di Eugenio Scalfari a tenergli compagnia, magari con un plaid sulle ginocchia. Ci sono anche dei cinquantenni che quando si parla di aborto (o divorzio) continuano a ripetere le stesse identiche frasi, e sono refrattari a qualsiasi tentativo di approfondimento.
Un dogmatismo stolido, insomma, che forse non trova eguali in nessun altro argomento (oddio, è meglio non sottovalutarli, ma al momento non ci sembra proprio…).
Per loro il tempo non è passato, siamo ancora nel 1978. Del resto, a farci caso, qualcuno di loro si veste ancora come in quegli anni. E probabilmente – se non fosse per i soldi che hanno fatto – girerebbero ancora tutti con le Alfette, e i più sfigati con la Lancia Delta.
Invece i cattolici, e non solo loro, cosa hanno chiesto? In poche parole, da un punto di vista metodologico, hanno proposto di cominciare ad essere un po’ più laici, anche quando si parla di aborto.
Cos’è infatti la laicità? Non dovrebbe essere l’atteggiamento di chi non parte mai da dogmi e verità precostituite, ma cerca sempre di verificare, discutere, fare esperienza, e praticare quello che i liberali di una volta chiamavano “il metodo del dubbio”? Appunto, questo è esattamente quello che i cattolici stanno chiedendo, e non da oggi, rispetto alla 194.
Legge che prescrive solennemente che l’aborto in Italia non deve essere un mezzo di contraccezione, e quindi i pubblici poteri devono adottare le “iniziative necessarie per evitare che sia usato ai fini della limitazione delle nascite” (art. 1). Legge che prevede che, prima di essere ammessa ad abortire, la donna debba essere “aiutata a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza”, in quanto le strutture socio-sanitarie pubbliche e private devono “promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto” (art. 5).
Tant’è che – con buona pace di alcune sentenze della magistratura, che considerano l’aborto un diritto soggettivo della donna – si tratta di un intervento che può essere eseguito solo nell’ambito di strette limitazioni, che non hanno poi tanto a che vedere con la “autodeterminazione”.
Nei primi novanta giorni di gravidanza, affinché sia autorizzato l’aborto deve essere riscontrato nella donna “un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito” (art. 4).
Anche in questi casi, il medico deve congedare la richiedente con un “invito a soprassedere per sette giorni”, soltanto dopo il quale la donna può presentarsi presso le strutture autorizzate.
Questa è la legge vigente, questa è l’unica norma sovrana alla quale lor signori pretendono che - in nome della laicità - si sia tutti sottoposti e ossequienti, senza distrazioni prevenienti dal Vaticano.
Bene, chiediamo noi – e chiedono i veri laici – e allora tutto questo è avvenuto, negli ultimi trent’anni?
Si dice che sarebbero molti i casi di donne che ottengono di abortire quando hanno già un figlio o due. In simili situazioni è perlomeno dubbio che vi siano le condizioni di cui all’art. 4, ed è legittimo il sospetto che si tratti di aborti a fini contraccettivi. E’ vero? Quante sono, ogni anno?
Si dice poi che ci siano altrettante abortenti che sarebbero tutt’altro che ragazze-madri, come si diceva una volta. Sarebbero invece donne con una vita regolare, nemmeno più giovanissime, con un lavoro, un compagno di vita, e che di certo non vivono in “condizioni economiche, sociali o familiari” di disagio. Ecco, anche questo è vero? Quante sono? Ci sono dati statistici affidabili al riguardo?
Sono domande delle quali è difficile mettere in dubbio la laicità. In fondo, stiamo solo chiedendo di controllare i dati dell’esperienza, dopo trent’anni di legge 194. Non si era detto che laicità significa capacità di interrogarsi liberamente, e di verificare sempre quel che ci viene raccontato?
Invece, si tratta di domande per le quali è difficile trovare una risposta pubblica. Nella politica e sui giornali, sono in circolazione troppi sacerdoti del dogma laicista per poter tranquillamente porre queste questioni.
I pretesi “oscurantisti” di un tempo sono diventati i veri laici, e come dicevamo non è una novità, in quanto la dimensione della laicità nella politica l’ha inventata proprio il cristianesimo. Date a Cesare quel che è di Cesare, e poi la lotta delle investiture, la teoria dantesca dei “due soli”, cioè l’Impero e il Papato, ecc...
Ma nel contempo, è accaduto che i pretesi “laici” siano invece diventati i peggiori oscurantisti, nel senso etimologico del termine: quelli che vogliono tenere gli altri all’oscuro.
E sono proprio i cattolici che devono insegnare loro il mestiere, invitandoci tutti a fare alcune cose che, in una società aperta e laica, dovrebbero essere garantite ma anche sempre ben coltivate: cioè - sembrano dirci - interrogatevi. Fatevi venire dei dubbi. Discutete. Verificate. Siate laici.
Aveva ragione Augusto del Noce, uno che di rovesciamenti filosofici ed ideali se ne intendeva.
Già negli anni settanta diceva che uno dei tratti salienti della società europea, nonostante tante professioni di laicità e di liberazione dell’uomo dalle catene dei dogmi, era diventato proprio il “divieto di fare domande”. E oggi, secondo alcuni, siamo già arrivati all’epoca del “divieto di dare risposte”.
Ma tanta tracotanza sembra nascondere solo la disperazione di chi scopre che le sue idee di sempre, per le quali ha lottato per un’intera carriera politica o giornalistica, erano enormi inganni. O comunque sono idee che hanno irrimediabilmente perso, e sono finite fuori dal vento della storia perché non trovano più alcun riscontro nella vita reale degli uomini, e nelle loro esigenze.
Per questo, solo per rassicurarsi, continuano a ripetere le stesse cose di trent’anni fa.
All’epoca della legge 194 chi scrive aveva poco più di dieci anni, e ricorda che suo nonno cantava sempre il “tango delle capinere”, e per Natale si faceva regalare dischi che portavano l’etichetta nera della Decca. Cosa hanno regalato per quest’ultimo Natale ai vari Pannella, Scalfari, ecc.?
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